La giustizia minorile è in crisi e Regione Lombardia punta sull’apertura di “piccoli manicomi”

A un anno dalla conversione in legge del “Decreto Caivano” si misurano gli effetti deleteri dell’aumento al ricorso alla carcerazione e al sovraffollamento negli Istituti penali minorili. “La soluzione non è creare piccoli manicomi”, denuncia il Cnca Lombardia.

La giustizia minorile lombarda è in un momento estremamente complicato e paga lo scotto degli effetti del cosiddetto “Decreto Caivano” convertito in legge esattamente un anno fa.

Per contrastare questa situazione sarebbe utile incentivare la rete di comunità educative ad aumentare la disponibilità ad accogliere giovani autori di reato.

Regione Lombardia punta invece sull’apertura di 3 comunità che ospiteranno ciascuna 12 giovani tutti sottoposti a misure penali e tutti portatori di problemi di malattia mentale!

“Così si mortifica un sistema che è considerato il più avanzato a livello internazionale, condannandolo a una pericolosa involuzione”. È la denuncia del Coordinamento nazionale comunità accoglienti (Cnca) della Lombardia, che si appella alle istituzioni regionali e nazionali affinché rimettano al centro delle politiche il recupero dei giovanissimi autori di reato, tenendo insieme il contenimento della pericolosità sociale.

“Per almeno 30 anni nel nostro Paese abbiamo raccolto risultati straordinari nella sfera della giustizia minorile -spiega Paolo Tartaglione, responsabile della cooperativa sociale Arimo e membro del Cnca Lombardia- e lo abbiamo fatto seguendo tre principi: privilegiare la riduzione della recidiva rispetto agli aspetti sanzionatori dell’intervento penale minorile, intervenire sui bisogni che stanno alla base della commissione di reato da parte dei minorenni, responsabilizzare il/la giovane in ogni momento della misura penale minorile”.

Il sistema, però, ha ingranato la retromarcia. I minorenni autori di reato vengono sempre più visti e trattati come adulti e gli Istituti penali minorili, che la Legge del 1988 ritiene debbano essere utilizzati solo a fronte di “insopprimibili esigenze di difesa sociale”, sono sempre più affollati. “Il tasso di saturazione media è pari al 110%, ma alcuni istituti raggiungono anche il 180%”, continua Tartaglione.

📸 Matteo Paciotti – Immagine dell’ex ospedale psichiatrico di Mombello (MB) “G. Antonini”

I recenti provvedimenti legislativi riducono la possibilità di utilizzare lo strumento della messa alla prova, aumentano il ricorso alla carcerazione, reintroducono l’utilizzo delle divise negli istituti penali, cancellano le progettualità e così la gestione degli Istituti è privata anche delle minime prospettive. “Così si apre la strada a nuova violenza e nuovi reati”, denuncia Tartaglione, che fa notare come mostrare la “faccia cattiva” sia di fatto controproducente. “Se andiamo a sollecitare un adolescente ponendoci come guardie e ladri ci mettiamo sul suo terreno preferito. Ed è un terreno sul quale i ragazzi si ritrovano spinti a schierarsi fin dall’ingresso in carcere, sabotando così la possibilità di una messa in discussione e distogliendo lo sguardo dagli obiettivi per il futuro “.

In Lombardia, dove la relazione con le comunità di accoglienza ha sempre dato buoni frutti, la situazione è particolarmente critica. Da qualche anno le comunità che storicamente accoglievano tanti autori di reato sono infatti entrate in crisi, soprattutto per la carenza di disponibilità di personale. Molte hanno chiuso. È una crisi generale che investe le professioni di cura (educatori, infermieri, assistenti sociali) ed è particolarmente estrema nei servizi di comunità e ancor di più per le comunità che si occupano di adolescenti e autori di reato.

“Le comunità che non hanno chiuso hanno comunque ridotto la disponibilità ad accogliere autori di reato -segnala Tartaglione- proprio per il pericolo di gestire casi esplosivi senza poter dimettere i giovani in caso di agiti che espongano a gravi rischi ospiti e operatori”.

“È necessario e urgente – aggiunge Tartaglione – un confronto improntato alla massima collaborazione tra tribunale per i minorenni, centro per la giustizia minorile e comunità lombarde per comprendere le motivazioni che hanno portato queste ultime a ridurre la disponibilità ad accogliere giovani autori di reato, e mettere in atto ogni azione possibile per invertire la tendenza, e garantire così ai giovani di essere accolti in contesti educativi di qualità, e improntati al cambiamento”.

Invece Regione Lombardia ha indetto nell’agosto di quest’anno una manifestazione di interesse per aprire tre comunità che secondo Cnca rappresentano un deciso passo indietro nella cultura penale minorile!

Comunità pensate esclusivamente per autori di reato con problemi di salute mentale. Una cosa che la Legge penale minorile vietava. “Non sono comunità gestibili con criteri educativi -denuncia Tartaglione- ma con un pesantissimo contenimento di fatto farmacologico. È un piccolo carcere, un piccolo manicomio”. Il Cnca Lombardia da tempo chiede invece di sedersi a un tavolo con le istituzioni coinvolte -dalla Regione al Tribunale per i minorenni, passando per le comunità di accoglienza- per capire come affrontare la situazione. Senza scadere in sperimentazioni che mortificano l’eredità di Franco Basaglia.

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