Il 25 aprile il Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti della Lombardia ha festeggiato la Liberazione: un giorno per ricordare chi ha condotto il nostro Paese fuori dall’orrore nazifascista, sarà un giorno per ribadire i valori che ci accomunano: uguaglianza, libertà, democrazia. Gli stessi che hanno trovato spazio negli articoli della Carta Costituzionale, e che le organizzazioni della federazione del CNCA declinano in ogni ascolto, in ogni sorriso, in ogni lacrima che segna il loro impegno quotidiano.
Paolo Cattaneo, Presidente CNCA Lombardia, alla manifestazione nazionale della Giornata della Liberazione
Il 25 aprile per noi è stato il 4 aprile, quando Charles, ex ospite della comunità per adolescenti Millesoli, ha debuttato da attore sul piccolo grande schermo nella serie di Rocco Schiavone. E l’ha fatto nonostante la sera precedente avesse partecipato ad un rave.
Il 25 aprile è stato per noi l’11 ottobre: Elizabeth, accolta in uno degli appartamenti di semiautonomia della Corte di Quarto, ha superato l’esame di italiano dopo un’estate in cui, a giro, i volontari e i vicini di casa l’hanno affiancata nello studio. Lei ricambiava con delle salatissime tortillas; la sostituzione etnica una tortilla alla volta.
Il 25 aprile è stato per noi il 29 febbraio, quando Casa Rugiada, comunità per minori stranieri non accompagnati, ha ricevuto la candidatura di un motivatissimo Andrea, disposto a scegliere un lavoro riconosciuto pochissimo per impegnarsi professionalmente per un’Italia migliore possibile. Resistiamo, lo facciamo per noi stessi, non possiamo fare altrimenti, siamo comunità e siamo accoglienti.
Proviamo a onorare il 25 aprile tutti i giorni, per un’Italia più solidale e giusta, nelle piccole vittorie e nelle grandi fatiche. Anche nelle sconfitte. Anche quando apriamo il calendario e realizziamo che febbraio ha soltanto 28 giorni. Ma sul più bello, quando ormai tutto sembra perduto, arriva l’anno bisestile, e gli educatori e le educatrici tornano a voler lavorare in comunità e tutte le cittadine e ii cittadini italiani si riscoprono antifascisti.
P.S.: I nomi di persona e di Casa Rugiada sono nomi di fantasia. Soltanto quelli.
Nati nel 1986, abbiamo recentemente rivisto il nostro Statuto. In questa revisione abbiamo anche cambiato nome: da Coordinamento Nazionale di Comunità di Accoglienza a Coordinamento Nazionale di Comunità Accoglienti. Può sembrare un vezzo linguistico ad uno sguardo distratto, ma è una differenza sostanziale sul piano dei contenuti che vuole veicolare. Da sempre luogo di aggregazione di realtà che operano nell’ambito delle politiche sociali, centro di elaborazione e diffusione di una cultura dell’accoglienza, il CNCA oggi vuole sottolineare in particolare il proprio ruolo di soggetto politico attivo nella costruzione di comunità capaci di occuparsi di tutte le sue componenti, prendendosene adeguata cura. Non solo di lavorare nelle comunità, ma esserne parte, condividerne le istanze. Non solo dare voce a coloro che definiamo gli ultimi, ma costruire dispositivi in cui il diritto di cittadinanza sia per tutte le componenti sociali, nella nostra tradizione di lavoro con le persone, i bambini, i ragazzi, il mondo delle dipendenze, le famiglie, tutte le famiglie,… Le etnie tutte, le parti di comunità più sofferenza, meno riconosciute. Non vorremmo qui parlare di inclusione o integrazione, termini che sottintendono la presenza di qualcuno che deve includere e qualcuno che può godere della cortesia di essere incluso. Anche perché anche noi facciamo parte di questo mondo, anche noi dobbiamo lottare per il nostro riconoscimento oggi. Il CNCA è portatore di una visione del mondo fatta di parità di diritti e lotta alle iniquità, è fatto di organizzazioni e persone che hanno come primario strumento di lavoro la relazione umana, che studiano e si confrontano per incrementare costantemente la propria capacità di misurarsi con le continue sfide che la storia ci propone, che vivono la passione per la varietà e la complessità dell’umanità.
Ecco perché la Festa della Liberazione ci riguarda oggi.
Il 25 aprile negli ultimi anni rischia di essere derubricato ad una ricorrenza per vecchi nostalgici lontani dall’attualità. Invece nulla è più attuale, in particolare negli ultimi mesi.
Paolo Cattaneo, Presidente CNCA Lombardia
Allora vale la pena di farsi una domanda: da cosa dobbiamo liberarci oggi? Innanzitutto dovremmo liberarci da questa trappola dell’identità e in particolare dell’identità nazionale. Di quale identità parliamo? La popolazione che oggi abita il territorio italiano è composta da discendenti degli Assiri, dei Fenici, dei Greci, dei Celti,… E non siamo certo noi a dirlo, basta interpellare studi di autorevoli storici, antropologi, biologi ed etnografi come Cavalli Sforza, Marco Aime, il buon Fernard Braudel,… Lettura peraltro godibilissima e vivamente consigliata.
Quando parliamo de “le nostre tradizioni”, noi in realtà facciamo riferimento alle nostre nonne, alle loro ricette… Insomma non andiamo più in là di 50/70 anni or sono; non ci riferiamo a 500 o a 1000 anni fa, periodo in cui in Europa molti ortaggi e pietanze utilizzate oggi neppure esistevano. Però il mantra dell’identità nazionale e della protezione della nostra cultura ha un’enorme presa. E dove va a finire la difesa delle tradizioni quando c’è da vendere ai grandi capitali cinesi, agli inglesi, agli americani, come sta succedendo massivamente nella città di Milano e progressivamente nell’hinterland e nelle altre città del nord Italia? È il fenomeno di gentrificazione a cui stiamo assistendo e sul quale stiamo lavorando, che sta privando fasce di popolazione sempre più ampie della possibilità di un’abitazione dignitosa nel proprio territorio. Persone che lavorano, che spesso sono nate qui, che sono quindi anche italiane secondo le categorie di definizione meno illuminate. Ma diciamocelo: se di un popolo facciamo parte, se in una parte di mondo vogliamo riconoscerci, è quella con cui da millenni abbiamo scambi commerciali, culturali, talvolta conflittuali, ma sempre di grande meticciamento. Se a un popolo apparteniamo, allora questo è il popolo del Mediterraneo.
Un’altra gabbia dalla quale dobbiamo liberarci: le categorie. I migranti non sono migranti, sono persone. Invece la spinta culturale del momento porta addirittura alle sottocategorie: migranti economici, migranti ambientali… E, va detto chiaramente, è questa la cultura divisiva. E con la stessa categoria di pensiero si può passare ai disoccupati, ai disabili, ai gay, ai tossicodipendenti, ai poveri,…
Un altro recente mantra cerca di definire la Resistenza come un movimento omogeneo mosso da patriottismo. In realtà la grande varietà di Gap, Sap, brigate… Erano tutt’altro che di composizione omogenea: c’erano comunisti, anarchici, cattolici, monarchici… Piuttosto nei movimenti della Resistenza era forte l’internazionalismo, l’idea che alcuni valori fondanti della società civile travalichino i confini nazionali. Il 25 aprile bandiera nazionale? No, il 25 aprile è parità, è giustizia.
Ecco perché anche come CNCA ci riguarda in prima persona. E i problemi di oggi ci riguardano tutti. E dove ci troviamo oggi? Viviamo un momento storico che è una sorta di fascismo mondiale in cui ci siamo normalizzati, in cui in tutte le parti del pianeta ormai prevale l’interesse e la speculazione del singolo a scapito di intere masse di collettività, in cui lo sfruttamento delle risorse, il consumo di suolo, l’abuso della terra sono prassi scontata, in cui le deroghe ai diritti universali e inalienabili sono all’ordine del giorno nel silenzio generale. Sono stati progressivamente annientati quei soggetti che potevano, potrebbero e dovrebbero avere un ruolo politico di prima linea nel contrasto a questa direzione. I partiti politici, i sindacati, i mezzi d’informazione…
E questa sorta di bon ton istituzionale a cui abbiamo cercato di educarci ci ha incapacitato a qualunque azione incisiva in controtendenza a questa realtà che abbiamo tutti gli strumenti per analizzare e comprendere nel profondo. Per tornare alla realtà a noi più vicina, i provvedimenti di legge nazionali di questi ultimi mesi parlano chiaro: decreto Cutro, abolizione del reddito di cittadinanza, inasprimento delle sanzioni in materia di “sicurezza”,… Per non parlare della demolizione del sistema sanitario nazionale in atto da qualche decennio.
Come CNCA abbiamo già dichiarato puntualmente la nostra posizione nel merito di ognuno di essi. Sappiamo di essere titolati a farlo e di avere la capacità di sostanziare il nostro punto di vista. Fatichiamo però sempre più a trovare compagni di strada con i quali condividere la responsabilità e il carico, e contesti disposti ad ascoltarci. In questo quadro complessivo è molto difficile essere incisivi. Non vogliamo arrogarci il diritto e la supponenza di autodefinirci l’unico soggetto sociale che esprime questa cultura e questa volontà; talvolta incontriamo validi partner e realtà culturalmente molto fertili, e a fronte di soggetti non più in grado di svolgere la propria funzione sociale tanti piccoli e vitali germogli possono far bene sperare. Ma la corsa allo smantellamento di ogni tutela che possa ancora definirci cittadini di una Repubblica sembra inarrestabile e senza ostacoli.
È qui che si ritrova il senso della nostra Resistenza. Se vogliamo fare noi, per un attimo, l’esercizio di definire la nostra identità, a partire dai nostri valori fondanti e dal lavoro che facciamo da anni, la direzione del nostro agire sgorga con cristallina naturalezza: perché se non si alza in piedi il CNCA oggi, chi altro lo deve fare?
Milano, 18 aprile 2023 – Ancora una volta assistiamo indignati al racconto di soprusi e privazioni delle libertà ai danni di persone che hanno chiesto aiuto per trattare un problema di dipendenza. Nelle scorse settimane inchieste televisive hanno raccolto testimonianze di persone che sono state in determinate comunità residenziali e hanno subito un trattamento che nulla ha a che vedere con il percorso terapeutico.
CEAL e CNCA Lombardia -i raggruppamenti più significativi degli Enti che operano nel settore del trattamento delle dipendenze- raccolgono 40 organizzazioni che gestiscono 65 comunità residenziali e semi residenziali, per un totale di circa 1.500 posti, 2 servizi ambulatoriali (SMI) con circa 1.700 persone in carico, circa 30 progetti di riduzione del danno e di limitazione dei rischi, numerosi interventi di prevenzione e progetti rivolti ad adolescenti e famiglie in difficoltà.
Ancora una volta ribadiamo con forza che anche nella cura delle dipendenze il fine non giustifica i mezzi, ancor più quando i mezzi ledono i diritti basilari della persona e sono addirittura di tipo coercitivo e violento. La campagna “Educare, non punire” di cui è stato promotore il CNCA nazionale, già negli anni 90, aveva l’obiettivo di rifiutare l’uso dei mezzi coercitivi e della violenza, fisica e psicologica, approfittando della condizione di fragilità delle persone che affidano speranzose la propria vita alle comunità. I nostri servizi hanno in comune l’obiettivo di realizzare comunità accoglienti capaci di accompagnare, condividere, sostenere la persona e le rispettive famiglie nel percorso terapeutico-riabilitativo.
Tutti i nostri servizi, comunità residenziali, semi residenziali e ambulatoriali, sono autorizzati e accreditati dalla Regione Lombardia. Questo significa che periodicamente l’ATS di riferimento verifica l’adeguatezza degli spazi, le condizioni igienico sanitarie, la presenza di una equipe multidisciplinare e di un progetto individualizzato, documentato, appropriato ai bisogni della persona. Nei nostri servizi offriamo accoglienza e professionalità a sostegno del cambiamento, garantendo a ciascuno l’opportunità di scegliere consapevolmente. Lo facciamo nel rispetto delle regole e garantendo, sempre, i diritti di ogni persona.
Don Renato ci ha lasciati la scorsa serata. Per chi ha fede ci ha preceduto, per chi ha respirato la sua testimonianza e la sua passione ha infuso una eredità chiara e ben definita : la passione per le persone, per le loro storie, la condivisione delle sofferenze e soprattutto la costruzione di una comunità solidale e attenta. Un richiamo puntuale e attuale, che ci sentiamo di fare nostro, nella nostra struttura e nelle relazioni che saremo chiamati a costruire.
Volevamo scrivere qualcosa a commento degli esiti della Commissione di inchiesta sulle comunità per minorenni, che ha recentemente concluso le sue fatiche. L’ipotesi iniziale era di intitolare il pezzo “la montagna ha partorito un topolino”. Ma a ben vedere non è esatto.
La verità è che non ha partorito proprio niente.
Cosa vi aspettereste da una Commissione Parlamentare che si chiama “Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori”?
Di avere chiara evidenza delle attività illecite connesse alle comunità!
Nell’apprestarsi a seguire la conferenza stampa di presentazione degli esiti della Commissione pensavamo che finalmente sarebbe stata fatta chiarezza. Dopo anni passati ad accusare le comunità per minori delle peggiori nefandezze, la Commissione Parlamentare avrebbe potuto finalmente dare sostanza a quanto urlato ai quattro venti da molti Onorevoli: “le comunità fanno business sulla pelle dei bambini”.
Ricordate la straordinaria strumentalizzazione politica su Bibbiano?
La prima cosa da segnalare, su diretta ammissione della Presidente, è che la Commissione ha iniziato i lavori con ritardo straordinario, riducendo il tempo di attività a circa un anno; e che, benché composta da 40 Parlamentari, ha visto la partecipazione reale di qualcosa che somiglia a 5 persone. Il che, diciamola tutta, non solo denota con chiarezza quale sia l’importanza che rivestono i problemi dei minorenni nelle priorità del nostro Parlamento, ma costituisce una pietra tombale sulla credibilità di questa Commissione Parlamentare.
Se c’è una cosa che la Commissione ha plasticamente dimostrato è il pieno disinteresse del Parlamento per la condizione dei minorenni più fragili! Una Commissione Parlamentare che è stata condotta solo da un numero scandalosamente minimo di Onorevoli, alcune delle quali animate da posizioni di estrema disistima rispetto al Sistema della Tutela dei Minorenni, già espresse pubblicamente in ogni dove.
Nella conferenza stampa di presentazione degli esiti dei lavori[1], la stessa Presidente Cavaldoli, e l’On.Giannone hanno lamentato il fatto che, benché composta da 40 Parlamentari, ai lavori della Commissione abbiano partecipato in sostanza solo i presenti alla conferenza stampa, cioè 5 persone.
Questo piccolo ma agguerrito manipolo di Onorevoli ha potuto contare su alcuni consulenti, 4 avvocati e un medico, alcuni dei quali molto noti per la propria ostilità verso Tribunali per i Minorenni e le comunità.
Quindi una Commissione che ha lavorato in un tempo che essa stessa definisce “largamente inadeguato”[2], con una partecipazione così platealmente insufficiente da consigliare grande prudenza nel considerarla seriamente frutto di una autorità bicamerale, partecipata solo da circa 5 Onorevoli che avevano maturato le loro convinzioni prima dell’inizio dei lavori, e accompagnati da consulenti tra i più noti per l’opposizione alle comunità.
Premesse poco incoraggianti, certo. Ma abbiamo deciso di leggere ugualmente con la massima cura le 132 pagine di cui è composta la relazione conclusiva, che sappiamo essere stata approvata all’unanimità dalla Commissione.
Cosa emerge?
Innanzitutto il metodo che hanno scelto di utilizzare. La Commissione sostiene di aver proceduto appoggiandosi a 3 strumenti: l’acquisizione di dati, l’ascolto di persone esperte, e l’acquisizione di segnalazioni o esposti da cittadini e famiglie, attivando sul sito della Commissione stessa un modulo per la ricezione di esposti provenienti da privati cittadini.
Stante che la mancanza di dati nazionali coerenti è uno dei primi problemi sollevati dalla Commissione stessa, e che della dichiarata “autonoma raccolta di dati”[3] nella relazione non c’è traccia; e visto che la stragrande parte delle persone ascoltate non ha parlato di comunità o lo ha fatto in modo positivo, resta che le convinzioni dichiarate dal piccolo manipolo nella conferenza stampa fossero consolidate in precedenza, o siano maturate nell’ascolto di cittadini e famiglie che hanno sollevato gli esposti alla Commissione.
Nella conferenza stampa del 5 ottobre u.s. echeggiano infatti affermazioni forti:
“Bambini che vengono allontanati dai genitori senza motivo. E non parliamo di pochi casi, ma di migliaia di casi”[4], “Mamme che hanno visto l’allontanamento dei propri bambini da anni e ancora non sanno dove si trovano i figli”[5], “Il sistema ha opacità e collusione con i servizi”[6], “C’è tanta di quella violenza nei provvedimenti, che si può dire che si sia voluto correggere il genitore punendo il bambino”[7], e via dicendo.
Leggendo la relazione conclusiva della Commissione non si trova nessun elemento a conforto di queste affermazioni, mentre è frequente il riferimento alle audizioni delle famiglie che hanno sollevato gli esposti; che, con tutta evidenza, è stato lo strumento che è andato a consolidare convinzioni già maturate in precedenza. Si legge nella relazione conclusiva che “si è ritenuto di privilegiare lo strumento della segnalazione e dell’audizione libera rispetto all’acquisizione di testimonianze formali, tenuto conto anche del fatto che molte delle famiglie e delle persone interessate hanno manifestato un bisogno di ascolto che non si è realizzato nel rapporto con i Servizi sociali e le Autorità giudiziarie”[8].
La Commissione avoca a sé anche compiti di supplenza di Tribunali e Servizi Sociali! E per farlo ha deciso di attuare “approfondimenti attraverso specifiche audizioni, prevalentemente svolte in forma segreta […] audizioni segrete, delle quali in questa sede non è possibile dare conto del contenuto”[9]. Cosa è dato sapere di queste audizioni segrete sulle quali la Commissione basa le proprie conclusioni? Ovviamente niente, se non che – dice l’On.Tripodi nella conferenza stampa – “siamo spesso usciti con le lacrime agli occhi…abbiamo visto tanta sofferenza”.
Ma quindi? Questa “Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori”, benché abbia lavorato per un tempo ridottissimo, in una formazione minima e composta per lo più da persone animate da pregiudizi, appoggiandosi agli esposti di cittadini arrabbiati, avrà pur qualcosa da dire sulle comunità per minori?
E invece no.
Chi ha avuto la pazienza di leggere la relazione conclusiva ha atteso pagina dopo pagina di veder comparire la parola comunità, così enfaticamente presente nel nome della Commissione. E invece di comunità si accenna qualcosa solo in 6 delle 132 pagine; la prima volta che vengono citate è a pagina 51, quando finalmente la Commissione riporta gli esiti della propria indagine.
In premessa la relazione ricorda che “l’organo parlamentare, con tutta evidenza, non dispone della struttura amministrativa sufficiente a una verifica a tappeto”[10], e che quindi è stato “necessario adottare un approccio di tipo qualitativo, basato su una pluralità di strumenti: acquisizione di informazione tramite esposti e segnalazioni; richieste di documentazione su iniziativa della Commissione; ispezioni delegate al NAS dei Carabinieri”. Quindi la Commissione non ha inteso fare controlli a campione, come ci si sarebbe potuto aspettare, bensì ha deciso di effettuare controlli nelle comunità per le quali hanno ricevuto esposti e segnalazioni. Quelle in cui, pertanto, la Commissione aveva motivo di ritenere che avrebbe trovato le “attività illecite” per cui è stata costituita.
E come è andata?
Laconicamente la Commissione deve riconoscere che “le ispezioni delegate hanno verificato una generale conformità delle strutture ispezionate alle prescrizioni di legge, con alcune eccezioni”[11]. E più avanti: ”In 10 delle 21 strutture ispezionate sono state riscontrate lievi irregolarità o inadeguatezze, per lo più necessitanti di ulteriori verifiche e approfondimenti documentali”. Quindi dalle ispezioni nelle comunità che erano state segnalate dagli esposti è stato trovato tutt’al più qualche piccola inadeguatezza, e si è dovuto concludere che “nel complesso, un quadro caratterizzato da esiti prevalentemente regolari rispetto ai requisiti di legge”.
In sostanza, pur andando a fare le ispezioni solo nelle comunità segnalate dagli esposti, la Commissione ha trovato una situazione in pieno rispetto delle norme.
E a nessuno è venuto in mente che basare una Commissione di inchiesta sulle testimonianze di chi si sente danneggiato dalle decisioni assunte dai Tribunali per i Minorenni possa non essere una buona idea?!
Evidentemente no. Perché nella lunga conferenza stampa del 5 ottobre Onorevoli e consulenti hanno fatto a gara per chi la sparava più grossa contro il sistema di Tutela dei Minorenni.
Eppure, anche in questa lunga conferenza stampa non si è mai parlato di comunità. Nella pagina di Radio Radicale dove è possibile ascoltarla[12], vengono segnalati ben 22 argomenti[13] trattati nelle 2 ore di collegamento. Ma tra questi le comunità non compaiono…
Di cosa si è parlato in questa conferenza stampa? Di affido sine die, di articolo 403, rito camerale, ascolto dei minori, contraddittorio, addirittura di sindrome da alienazione parentale.
Che responsabilità hanno le comunità su questi argomenti?
Sono i temi che da anni irritano una parte degli Avvocati che si occupano di Famiglia, e che vedono nella approvazione della recente Riforma del diritto processuale della famiglia una svolta positiva. Non a caso nella conferenza stampa si è parlato molto delle novità introdotte da questa scelta del Legislatore. La posizione della Commissione mi sembra ben espressa dal suo consulente Avvocato Morcavallo che, parlando della Riforma, sentenzia soddisfatto:” Alcuni Giudici Minorili hanno protestato, il che ci dice che la Riforma ha un suo profilo di virtù!”.
In effetti i Giudici Minorili non hanno solo protestato, ma hanno cercato in tutti i modi di interloquire con Parlamento e Ministero perché venissero prese in considerazione le opinioni di chi quella Riforma dovrà applicare. Ma non hanno ottenuto alcun ascolto. In questa sede non intendiamo soffermarmi sulla Riforma – legge 206/21 – sul cui contenuto peraltro abbiamo già avuto modo di esprimerci, limitandoci a richiamare la conclusione dell’ultimo comunicato stampa dell’Associazione Nazionale Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, che recita:” Una riforma reazionaria che “snatura” il sistema della giustizia minorile “per ragioni che nulla hanno a che vedere” con la tutela dei “soggetti più deboli” e che è del tutto “irrealizzabile”.
Ancora una volta le comunità diventano oggetto di aggressioni che nulla hanno a che fare con la funzione pubblica che ogni giorno sono chiamate a svolgere. I pochi punti davvero “dolenti” sollevati dalla Commissione (ad esempio quello della mancanza di un sistema di rilevazione dei dati, o il mancato recepimento da parte delle Regioni delle linee di indirizzo nazionali sulle comunità – dicembre 2017) sono sottolineati da molti anni dalle comunità stesse (e in tutti i report di monitoraggio dello stato di attuazione della CRC in Italia) che sono al limite parte lesa di queste inadempienze Istituzionali.
Tutto il resto del lavoro svolto dalla Commissione non riguarda le comunità, che sono diventate il terminale di un attacco al sistema di protezione dei Minorenni, guidato da persone che ritengono che lo Stato non debba mettere il naso in ciò che accade nelle Famiglie.
Dice bene Joëlle Long, grande esperta di Diritto Minorile, in una recente intervista a Vita:” Si passa dalla tutela prioritaria dell’interesse del minore a quella degli interessi della famiglia d’origine, dalla proclamazione del diritto del bambino a crescere in una famiglia al diritto dei genitori a crescere i propri figli. […] La narrazione oggi non infrequente che veda negli assistenti sociali e nei giudici minorili dei “ladri di bambini” si nutre dell’idea tradizionale che i panni sporchi vanno lavati in famiglia, al massimo nella famiglia allargata… fino al quarto grado. È stata invece una conquista di civiltà quella del riconoscimento del dovere dello Stato di intervenire per garantire ai minori cure adeguate nel caso di incapacità dei genitori. Così dice tra l’altro l’articolo 30 della nostra Costituzione”[14].
Chi sono le vere vittime di questa campagna di disinformazione sulle comunità e sul sistema di Tutela dei minorenni?
Questa campagna denigratoria è iniziata da una decina di anni. Si sono susseguite trasmissioni televisive che hanno raccolto in maniera acritica il racconto di famiglie con figli allontanati, e soprattutto quello dei loro avvocati, e hanno dipinto le comunità come terminale di un presunto “business sulla pelle dei bambini”. Niente naturalmente è stato mai verificato. Ma queste storie sono state confezionate in maniera affascinante, e hanno colpito al cuore le persone che le hanno ascoltate. Magistrati Minorili e Comunità non hanno saputo imbastire una risposta altrettanto suggestiva, nella convinzione di non voler esporre bambini e famiglie alla pubblica opinione. Fatto sta che la reputazione delle comunità, che pure lavorano molto meglio di un tempo proprio sulle cose che vengono loro contestate (il rapporto con le famiglie, ad esempio), ne ha fortemente risentito.
A pagare il conto sono innanzitutto le famiglie in difficoltà: seguendo la finta equivalenza “se sollevo un problema mi allontanano i figli”, molte famiglie hanno rinunciato a chiedere aiuto ai Servizi Sociali; con l’ovvia conseguenza di un aggravamento di situazioni alle quali si sarebbe potuto trovare rimedio.
A pagare il contro sono gli ospiti di comunità: un tempo dovevano difendersi solo dal pregiudizio sulle loro famiglie; oggi si trovano anche a dover giustificare il fatto che nelle comunità possono aver trovato una risposta di cui avevano bisogno.
Oggi, pagano il conto anche gli educatori: cresciuti in una rappresentazione così deteriorata delle comunità, non le considerano più un luogo di lavoro appassionante; con ciò – credeteci – perdendo una grandissima occasione!
E certamente quest’ultimo aspetto lo pagano le comunità, che stanno chiudendo a causa della carenza di personale.
Con ciò non danneggiando il presunto business (che, dev’essere chiaro a tutti, non esiste: le comunità quando va bene sono in pari), ma privando bambini e adolescenti in difficolta di una opportunità che si è rivelata importantissima per molti minorenni e neomaggiorenni.
Nonostante i progressi effettuati nell’ambito del contrasto e della protezione delle vittime, i dati recenti ci informano che il fenomeno della tratta di esseri umani è ancora molto radicato in Italia e nel mondo. Lo sfruttamento di donne, uomini e minorenni nella prostituzione, nel lavoro gravemente sfruttato, nell’accattonaggio e nelle economie criminali forzate (spaccio e furti), nei matrimoni forzati e nel traffico di organi rappresenta ancora oggi una piaga che mina gravemente i diritti umani delle persone coinvolte sia in Italia che all’interno dell’Unione Europea. La Commissione Europea ha presentato da poco una nuova strategia per combattere il fenomeno. Si tratta di un piano di cinque anni che prevede numerose misure volte: – alla riduzione della domanda di servizi connessi alla tratta; – al contrasto dello sfruttamento che passa attraverso le piattaforme digitali; – al rafforzamento dei programmi di protezione e assistenza delle vittime, in particolare di donne e minori; – alla promozione della cooperazione internazionale al fine di combattere la tratta nei Paesi di origine e di transito. Il Dipartimento per le Pari Opportunità, il Numero Verde Nazionale e la rete nazionale dei Progetti Anti-tratta, di cui fa parte l’Associazione Micaela Onlus, anche quest’anno si sono impegnati nell’organizzazione di eventi di sensibilizzazione e informazione sul tema, uniti dal filo conduttore dello slogan #liberailtuosogno. Grazie all’approvazione del bando 5/ 2022 promosso e finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità, l’ass.- Micaela Onlus potrà continuare il suo lavoro in Lombardia e Puglia con l’obiettivo di sostenere il programma di emersione, assistenza ed integrazione sociale delle vittime di tratta. Si resta ancora in attesa dell’approvazione del piano nazionale antitratta, bussola per tutti gli interventi messi in campo dagli enti anti – tratta. A Bergamo dal 15 al 20 Ottobre, grazie all’adesione del Comune di Bergamo (e in particolare dell’Assessorato alle Politiche Sociali) all’iniziativa, sarà esposto presso la sede dei Servizi Socio – Educativi di Via San Lazzaro n. 3, un grande striscione recante la scritta BERGAMO NON TRATTA, accompagnata dallo slogan #liberailtuosogno. Un’iniziativa di sensibilizzazione promossa all'interno del progetto Mettiamo le ali – Dall’emersione all’integrazione, di cui l’Associazione Micaela fa parte, finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità e coordinato dall’Ente capofila Cooperativa Lule, per la realizzazione di programmi di emersione, assistenza e integrazione sociale a favore di vittime di tratta e grave sfruttamento, che intendano sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti di soggetti dediti al traffico di persone. L’Associazione Micaela si occupa del fenomeno della Tratta da più di 25 anni sul territorio italiano e in questa giornata ci piace ricordare colei che ha dato il via a tutto, Santa Micaela. Non c’erano allora le giornate contro la tratta. Non c’erano leggi, servizi, aiuti per le donne sulle strade e nei bordelli di Madrid. C’era una tessera che la dichiarava “mujer pùblica”, uno stigma che la obbligava a camminare a testa bassa, c’era una fine tra i derelitti dell’ospedale San Giovanni di Dio. Ma…c’era lei, si, Micaela! Fu in quell’ospedale il suo primo incontro, nel febbraio del 1844. Davanti a quella giovane, bella, e ricca un tempo, ma adesso ridotta ad un relitto umano, il suo cuore di donna si commuove, la sua intelligenza rende possibile l’impossibile, la sua passione per le cause giuste la spinge, la sua condizione aristocratica le offre i mezzi per iniziare una battaglia a favore di “quelle infelici”. Battaglia che attraversa due secoli e arriva ai nostri giorni. Con un linguaggio tanto duro quanto realistico, Micaela le descrive così: “…le donne chiamate “pubbliche” sono considerate la classe più abietta della società. Le stesse persone che collaborano all’infame e vergognoso commercio dei loro corpi, si vergognano di nominarle davanti a persone per bene. Gli stessi individui che causano il loro avvilimento le considerano la feccia ultima della società. Con quella “feccia” lei decide di sporcarsi le mani. Mette a disposizione una casa per accoglierle, porta il suo dramma alla Regina, di cui era “prima dama”, difende i suoi diritti davanti all’istituzione pubblica, e… pioniera delle unità di strada e dei progetti di prossimità, le cerca nei bordelli, le visita nelle strade, le cura negli ospedali. In questa giornata che fa memoria delle vittime di tratta, ci piace fare memoria di una donna che, quasi due secoli fa, per loro diede “fama, fortuna e vita”: Micaela. Suor Pilar
“Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui.” Pier Paolo Pasolini
Il Piano Nazionale Antitratta 2022-2025 è pronto, condiviso e già approvato dalla Conferenza Stato Regioni. Manca l’ultimo passo, l’approvazione in Consiglio dei Ministri. Appello delle reti associative protagoniste del sistema anti-tratta alla ministra uscente Elena Bonetti, perché in questi ultimissime ore porti il Piano all’approvazione. «Diversamente butteremmo via il lavoro di oltre un anno e lasceremmo le organizzazioni senza una cornice di programmazione nazionale»
Sembra dunque che il Governo Draghi non abbia trovato il tempo di approvare il Piano Nazionale Antitratta 2022-2025. Tale Piano è lo strumento che mette a sistema e coordina gli interventi integrati che a livello locale agiscono da un lato per tutelare e promuovere i diritti delle vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale, lavorativo, per accattonaggio e per inserimento coatto nelle attività illegali, d’altro lato per contrastare le attività criminali di chi compie i reati di tratta e di traffico degli esseri umani e del loro grave sfruttamento Il Piano era pronto ed è stato costruito con un percorso di lavoro di concertazione, coordinato dal Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha visto coinvolti tutti ministeri competenti, le ong internazionali, i sindacati, le piattaforme e le reti degli enti della cittadinanza attiva e del privato sociale che a livello locale con i comuni gestiscono le diverse attività dei progetti anti-tratta. Un percorso che è durato più di un anno, con incontri nazionali e che alla fine ha prodotto la proposta di Piano che è stata poi verificata e approvata dalla Conferenza Stato Regioni.
Il sistema antitratta negli ultimi 20 anni ha consolidato pratiche, strumenti, reti territoriali e modelli di intervento che hanno consentito a migliaia di vittime di sottrarsi ai trafficanti. Vittime che in moltissimi casi, attraverso le loro denunce, hanno permesso alla magistratura e alle forze dell’ordine di avviare importanti inchieste sulle reti criminali sgominando importanti organizzazioni e che hanno portato alla condanna di numerosi sfruttatori.
Il percorso del Piano Nazionale Antitratta si è fermato dunque a un soffio dal traguardo, alla sua ultima tappa, l’approvazione in Consiglio dei Ministri: in tal modo però sono stati depotenziati gli sforzi di un sistema integrato tra gli enti pubblici e il privato sociale qualificato, che rimane privo di uno strumento di programmazione che ne orienti e ne strutturi il cammino in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Non sappiamo perché il lavoro realizzato, concertato e approvato come detto su più piani istituzionali e a livello locale e regionale non sia stato portato all’approvazione al Consiglio dei Ministri, ma sappiamo che la sua mancata approvazione è un segnale grave di distanza politica da parte del Governo a tutto il fitto e articolato sistema di intervento, fatto di profili professionali qualificati come operatori, educatori, mediatori culturali, legali, psicologi, esperti nella mediazione dei conflitti sociali, ispettori del lavoro, forze dell’ordine, questure e prefetture, sindacati, enti locali che sul territorio collaborano da anni in un sistema che è riconosciuto in Europa e nel mondo come uno dei più innovati e efficaci.
Un sistema per altro che ha costi bassi per il bilancio dello stato in un rapporto costi benefici estremamente favorevole che si registra in pochissimi altri casi di politica pubblica. In termini di tutela dei diritti, politiche di sicurezza e mediazione sociale.
Per tutte queste ragioni chiediamo alla ministra Bonetti, che ben conosce sia l’enorme lavoro di confronto e co-progettazione svolto per definire il nuovo Piano sia il valore e l’impatto che esso avrebbe nel contrasto della organizzazioni criminali dedite alla tratta, nella tutela delle persone che ne sono vittime e nella attivazioni di circuiti di legalità nei territori, di compiere uno sforzo finale e straordinario per fare approvare il Piano a questo Governo, garantendo la piena legittimazione al percorso avviato con tutti i soggetti coinvolti.
Una delle ragioni della disaffezione dei cittadini e delle cittadine alla politica e al voto risiede anche nella mancanza di fiducia che tali istituzioni si possano davvero occupare dei problemi delle persone che vivono più difficoltà e disagi. Non approvare il Piano sarebbe come confermare tale mancanza di fiducia e dare ragione a chi ha scelto di non partecipare più al diritto dovere di voto.
Tiziana Bianchini, portavoce gruppo nazionale CNCA
Andrea Morniroli, portavoce Piattafoma Nazionale Antitratta
Venerdì 7 ottobre si è tenuta l’assemblea di modifica dello Statuto e di rinnovo cariche del CNCA Lombardia. Abbiamo attraversato tanti eventi dall’ultimo rinnovo, fuori e dentro il nostro mondo… non ultimi la riforma del Terzo Settore e la pandemia da Coronavirus….Così eccoci ad adeguare il nostro Statuto alla nuova riforma e a raccogliere i nostri vissuti sulla pandemia con il libro “Luce nelle ferite” da cui è stato tratto anche lo spettacolo teatrale che Giovanna Mori ha messo in scena proprio venerdì a Nembro.
Volevamo che fosse proprio qui dove le ferite sono ancora aperte e le assenze ancora vive che vedesse la luce il nuovo esecutivo che guiderà il CNCA Lombardia per i prossimi 4 anni.
La squadra vede la presenza di vecchie e nuovi membri capitanati ancora una volta dal Presidente Paolo Cattaneo (Diapason di Milano) :
Tiziana Bianchini (Cooperativa Lotta Contro L’Emarginazione di Sesto San Giovanni)
Andrea Colciago (Pavoniani Artigianelli di Monza)
Paola Merlini (Cosper di Cremona)
Paolo Tartaglione (Arimo di Milano)
Eleonora Del Fabbro (Padri Somaschi di Milano)
Nicola Danesi (Bessimo di Brescia)
Debora Zanchi (AEPER di Bergamo)
Paolo Dell’Oca (Archè di Milano)
Rita Ceraolo (La Grande Casa di Sesto San Giovanni)
Riccardo Farina (Comunità del Giambellino di Milano)
Elza Daga (Comin di Milano)
Durante l’assemblea è stato presentato il Dossier 2021, frutto del lavoro del gruppo comunicazione avviato durante l’ultimo mandato. Puoi scaricarlo nella versione interattiva dal nostro sito.
L’assemblea ha augurato a tutti un buon lavoro e dopo una breve pausa ristorativa ha atteso l’inizio della messa in scena dello spettacolo di Giovanna Mori.
La ringraziamo molto per come ha saputo rendere vivi i ricordi di quei giorni e rendere lo smarrimento e lo spaesamento che ancora oggi ci attraversa. E’ stata capace di dire con la sua vibrante presenza scenica che…. non abbiamo parole per descrivere cosa è accaduto! Grazie Giovanna