AIDS: se le Case Alloggio lombarde scompaiono?

Nel 2024 le nuove diagnosi di infezione da HIV sono state 2.379, quelle di AIDS 450. Nell’83,6% di queste ultime, la scoperta di aver contratto l’HIV è avvenuta nei sei mesi precedenti la diagnosi di AIDS: un dato preoccupante che indica un accesso al test tardivo, spesso solo dopo la comparsa dei sintomi delle varie patologie che definiscono la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita. Sono i dati che emergono dal Bollettino pubblicato pochi giorni fa, come tutti gli anni, dal Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità, con il contributo di alcuni componenti del Comitato Tecnico Sanitario del Ministero della Salute e i referenti di questo stesso Ministero.

Nella Giornata Mondiale contro l’AIDS, lunedì 1° dicembre, l’Infettivologo Giovanni Gaiera, Presidente pro-tempore del CRCA Lombardia, Area territoriale del C.I.C.A,  Coordinamento Italiano Case Alloggio per persone con HIV/ AIDS, e rappresentante del  CNCA Lombardia all’interno della Commissione Regionale AIDS della Lombardia, ricorda che “l’infezione da HIV non è scomparsa” e che “di AIDS si muore ancora”: principalmente per neoplasie, più difficilmente trattabili in persone con un sistema immunitario compromesso, o per cirrosi epatica dovuta a epatiti e/o alcool, o ormai sempre più raramente per alcune malattie infettive per cui non esiste ancora una cura efficace.

Non sono scomparse neppure le persone sopravvissute all’ultima pandemia del secolo scorso, scoppiata a metà degli anni Ottanta. Alcune di queste, quelle che portano gli esiti più invalidanti soprattutto di patologie neurologiche ed assommano nella loro storia numerose fragilità (tossicodipendenza, vita di strada senza dimora, carcere,…) sono state e continuano ad essere accolte nelle Case Alloggio, strutture residenziali di piccole dimensioni – al massimo di dieci posti ciascuna – che offrono loro assistenza extraospedaliera sociosanitaria in un ambiente che è stato pensato dalla metà degli anni ’80 e vuole continuare ad essere una “casa” .

Questi spazi preziosi e unici oggi rischiano però di scomparire. In tutta Italia ce ne sono circa 50, di cui 21 in Lombardia. La chiusura all’inizio del 2025 per motivi economici di una delle cinque Case di Milano ne evidenzia la crisi.

Le Case Alloggio lombarde sono convenzionate con la Regione secondo quanto indicato da una delibera del lontano febbraio 2005, che fissa le rette giornaliere a 135 Euro per quelle ad alta integrazione sanitaria (per persone fisicamente più compromesse) e a 105 Euro per quelle a  bassa intensità assistenziale (destinate a chi ha principalmente problemi sociali ed è rimasto senza lavoro e senza casa per via delle sue condizioni di salute o viene dai circuiti infernali della strada e del carcere). Nonostante un aumento -che Gaiera definisce “un’elemosina”- del 2,5% ottenuto nel dicembre 2023 dopo la protesta organizzata da ospiti e operatori davanti alla sede della Regione Lombardia, le rette sono rimaste sostanzialmente ferme al 2005.

Ma il costo della vita non è più quello di vent’anni fa: le spese e i salari di operatrici ed operatori sono notevolmente aumentati – denuncia il medico -. Siamo sempre più affaticati e di questo passo ne va della nostra stessa sopravvivenza. Diverse Case stanno valutando da tempo di chiudere, perché la sostenibilità in queste condizioni è giunta al limite, se non oltre”.

Il bisogno di queste strutture residenziali è in realtà ancora molto presente: lo testimoniano le continue richieste da parte delle ATS e degli ospedali, che provengono talvolta anche da fuori Regione, e le liste d’attesa più o meno lunghe che la maggior parte delle Case si trova a gestire. 

Accanto al personale sanitario, costituito principalmente da infermieri e OSS, nelle Case Alloggio operano anche educatori e psicologi, che cercano di accompagnare gli ospiti, per quanto lo permette le loro condizioni di salute, a prendere coscienza e a recuperare le possibili autonomie, in vista in alcuni casi di un loro ritorno ad una vita autonoma. In un contesto, peraltro, in cui le persone con infezione da HIV e AIDS continuano ad affrontare un forte stigma nei loro confronti.

“Buona parte dei nostri ospiti arriva da storie di tossicodipendenza, di carcere, di strada e di prostituzione. Ancora oggi ci sono dentisti che si rifiutano di mettere le mani in bocca ai nostri ospiti: conosco diversi pazienti che hanno dovuto girare vari studi per poter essere curati, se non addirittura visitati. E quando devono sostenere un esame di tipo invasivo, come una gastroscopia o una colonscopia, nella maggior parte delle strutture sanitarie continuano ad essere esaminati per ultimi”.

Anche per questo è importante proteggere questi spazi di cura, che non sono e non vogliono essere ospedali, ma “case”, luoghi familiari. Per mantenerne l’identità, il CRCA Lombardia ha rifiutato e rifiuta la proposta, avanzata in alcune riunioni dai funzionari della Regione Lombardia, di accorpare le Case Alloggio per crearne di più grandi, dai 50 ospiti in su, così da poter godere delle economie di scala. “Sarebbe come avere delle case di riposo per persone con l’HIV e l’AIDS -commenta l’Infettivologo- con scarsa capacità di rispondere ai bisogni dei singoli”. CRCA Lombardia, CICA nazionale e CNCA Lombardia chiedono alla Regione di porre fattivamente attenzione alla difficile situazione economica in cui versano le Case Alloggio e al tema non più rinviabile dell’adeguamento delle loro rette. Per garantire la continuità di un servizio consolidato ed efficace, che negli anni ha dimostrato di saper gestire la complessità, la cronicità e le riacutizzazioni della malattia, seguendo gli ospiti con HIV e AIDS in maniera efficace e  puntuale.

Le proposte di social housing a Milano: “E chi una casa non ce l’ha?”

Lunedì 15 settembre Palazzo Marino ha ospitato l’evento “Emergenza casa. Verso un piano europeo”, in cui stakeholder locali e figure politiche europee hanno affrontato il tema della casa, portando diverse esperienze di social housing in Italia e Europa. L’appello del CNCA Lombardia è di non dimenticare chi è rimasto senza casa e chi da anni attende invano una casa popolare. 

Si è parlato di Milano, di città italiane e di capitali europee; della relazione che deve rafforzarsi tra pubblico e privato; di risorse continue che mancano; smart working; ristrutturazioni e, velatamente, di una finanza che prende il sopravvento su economia e politica. Ma soprattutto, all’evento “Emergenza casa. Verso un piano europeo” organizzato lo scorso lunedì 15 settembre a Palazzo Marino, si è discusso il tema dell’abitare in relazione alle social housing, proposte di residenze a prezzi accessibili per intercettare alcune esigenze di chi le case le abita. Sono state menzionate strutture universitarie per gli studenti, alloggi per i lavoratori e senior housing per promuovere un invecchiamento attivo tra gli anziani. Tutto molto bello e giusto, ma per l’esperienza del CNCA Lombardia il tema dell’emergenza abitativa, in un contesto come quello di Milano, non può essere ridotto all’edilizia sociale. 

“L’housing sociale e l’accompagnamento abitativo hanno un grande valore, però non possono sostituirsi al semplice e puro bisogno di chi una casa proprio non ce l’ha. Pensare di restringere il problema ad anziani, studenti e giovani lavoratori non è realistico”, argomenta Paolo Cattaneo. “È giusto pensare alle social housing, purché queste non sottraggano tutte le risorse all’offerta pubblica”.

Per il presidente del CNCA Lombardia è inoltre difficile immaginare un vero cambiamento nella questione dell’abitare, se non si parte dall’ammettere che a Milano serve uno strappo con quel modello di città che da Expo in poi ha contribuito a creare così tanta disuguaglianza, nascondendosi dietro la retorica del Capoluogo lombardo motore del Paese e centro di attrattività economica, finanziaria e turistica. 

Durante il corso dell’evento numerosi stakeholder locali ed esponenti europei -come il vicepresidente per la coesione della Commissione Europea, Raffaele Fitto, e la presidente commissione hous Parlamento europeo, Irene Tinagli- hanno all’unisono riconosciuto il problema della casa come una questione che riguarda tutti i Paesi d’Europa e non solo l’Italia o, ancora più nel locale, Milano. 

Ma non si può ignorare che il Capoluogo lombardo ha lo stesso numero di abitanti di 15 anni fa, eppure il 60% di questi è cambiato: significa che 600 mila persone sono andate ad abitare fuori, nella maggior parte dei casi per la sua insostenibilità economica. A questo problema si aggiunge quello delle mancanza di abitazioni popolari che, come denunciato da Mattia Gatti, Segretario generale del Sindacato inquilini casa e territorio (SICET) e tra i promotori della contro-manifestazione organizzata nelle stesse ore fuori dal Comune, avrebbero i requisiti per un’abitazione popolare, ma che per via della mancanza di alloggi non riescono a ottenerne una. Basti pensare che ogni anno a Milano 17.000 famiglie presentano domanda di casa popolare, ma solo il 3% la ottiene, mentre più di 10.000 appartamenti restano vuoti perché destinati a vendite o a valorizzazioni. La priorità in questo momento dovrebbe essere dedicata a tutti quei cittadini che, da tempo, non vedono il loro diritto alla casa riconosciuto.

“Una famiglia di origine peruviana con cui abbiamo lavorato si è spostata oltre Magenta perché con l’affitto non ci stavano più dentro. Lì sono riusciti a comprare una casa con i soldi con cui a Milano avrebbero acquistato un box auto. Personalmente” aggiunge Cattaneo, “noi del CNCA Lombardia immaginiamo un modello differente di spazio urbano, che non si pieghi a rincorrere finanza, turismo, persone ricche e influencer; in cui l’abitazione non sia fonte di esclusione o un mero luogo in cui tornare a dormire e dove il discorso sulla casa non riguardi solo la costruzione di edifici, ma comprenda servizi, risorse, relazioni umane e di quartiere”. 

Sala ha aperto la conferenza sollecitando le persone presenti a non affrontare il tema dell’abitare con toni polemici e di conflitto, perché “ogni divisione rappresenta un danno”. Non si può garantire che la versione di città proposta dal sindaco sia quella condivisa da tutti i suoi concittadini, ma l’auspicio è che, al di là della mera narrazione, un modello di città diverso torni a essere una priorità dell’agenda politica del centro sinistra.

La conversione del villaggio olimpico in alloggi popolari sarebbe un bel punto di partenza

“Sei la mia città”, la campagna sul diritto alla residenza a Milano

Sono oltre ottanta le sigle che promuovono l’appello “Sei la mia città” per l’estensione del diritto alla residenza nel capoluogo lombardo. Nell’appello si chiede al Sindaco Beppe Sala e alla Giunta del Comune di Milano una deroga all’articolo 5 della legge Renzi-Lupi, che ha condannato alla precarietà una vasta platea di abitanti. 

Tra gli aderenti alla campagna sindacati del lavoro, sindacati inquilini, comitati di quartiere, reti cittadine, cooperative, ong, organizzazioni studentesche, spazi sociali, associazioni civiche, collettivi.

A Roma, Palermo e Torino sono state già approvate deroghe all’articolo 5 della legge Renzi-Lupi. Pensiamo, come realtà sociali metropolitane, sia giunto il momento che anche l’amministrazione milanese orienti le proprie politiche ad una maggiore giustizia sociale, per una città più inclusiva, accessibile e accogliente.

“Riteniamo che sia arrivato il momento di riconoscere l’iscrizione anagrafica a tutte le persone che abitano stabilmente a Milano, a cui spetta la residenza ordinaria, come previsto dalla Costituzione Italiana. È necessario, tuttavia, mantenere, per tutte quelle persone che si trovino effettivamente “senza fissa dimora”, la residenza fittizia per garantire loro, in tempi celeri, tutti i diritti previsti dalla procedura”.

“Il diritto alla residenza concorre a definire l’identità di una persona e di una famiglia, la inserisce in un contesto sociale, relazionale, umano. Al diritto alla residenza sono collegati tutta una serie di diritti e di possibilità di accesso ai servizi che ben vengono illustrati nel secondo paragrafo dell’appello e nei successivi passaggi -aggiunge Paolo Cattaneo, presidente del CNCA Lombardia-. È un diritto che reclamiamo per i senza dimora e  per i migranti, tanto visibili quanto ‘fastidiosi’ per la nostra città, ma anche per tutte quelle famiglie che, invisibili e silenziose, sono costrette a vivere in situazioni fuori norma e così fuori norma diviene tutta la loro vita, anche quella dei loro figli e delle loro figlie. Per tutto questo e altro ancora ci siamo trovati con decine e decine di amici e compagni di strada, con cittadini, associazioni, cooperative, sindacati, gruppi spontanei e comitati. Sono le reali antenne nella città, i soggetti che più e prima di chiunque altro colgono le questioni nella loro spietatezza e, in forza dell’articolo 18 della Costituzione, si associano per cercare soluzioni e per sollecitare le istituzioni. Istituzioni a cui chiediamo di comprendere quanto sia necessario fare un passo avanti, deciso, cogliendo l’appello e l’invito a costruire insieme le necessarie risposte”.

“Sei la mia città” racconterà nelle prossime settimane il peso che hanno i diritti negati, attraverso la voce e i volti di persone reali che abitano a Milano, con un nome e un cognome, una storia, persone che possiamo incontrare tutti i giorni per strada, sui mezzi pubblici, al lavoro, a scuola. 
Attraverso questa campagna vogliamo aprire un dialogo costruttivo e proficuo con le istituzioni, per affermare con forza l’idea di una  città solidale, insieme ad un principio basilare a noi caro: l’inclusione e la coesione sociale passano necessariamente dal riconoscimento dei diritti sociali e civili e non da forme repressive o discriminatorie. 

“Sei la mia città” nasce come declinazione locale di una campagna promossa dal Social Forum dell’Abitare, la rete nazionale del diritto alla casa, e sull’impulso di ONG e associazioni del territorio che hanno coordinato e stimolato il superamento del quadro normativo sulla residenza, insieme ad Enrico Gargiulo, uno dei massimi esperti del tema, professore dell’Università degli Studi di Bologna, che ci ha coadiuvato nella stesura dell’appello, appello che alleghiamo insieme alla lista delle organizzazioni che lo sottoscrivono.

PER INFORMAZIONI

  • CNCA Lombardia • Paolo Cattaneo • 340 4530739
  • ARCI LATO B • Davide Vismara • 331 1038985
  • CASA DELLA CARITÀ • Valentina Rigoldi • 344 0674986
  • CHIEDIAMO CASA • Angelo Junior Avelli • 345 3141883
  • EMERGENCY ONG ONLUS • Alessandra Vardaro • 338 7236793

Il problema della casa a Milano investe anche il Terzo settore

Il problema della casa a Milano è drammatico e investe anche il lavoro degli operatori sociali del Terzo settore, mettendo in discussione percorsi di inclusione e integrazione. “Serve una risposta pubblica, sia da parte dello Stato sia da parte del Comune di Milano e della Città metropolitana”.

È l’appello che rilancia il Coordinamento nazionale comunità accoglienti (CNCA) della Lombardia.

“Con quasi 110mila abitazioni non occupate e un aumento molto significativo del numero di case utilizzate per turismo invece che per abitazione, non si può ridurre il problema a un semplice ‘fallimento del mercato’ legato alla carenza di offerta, come hanno fatto di recente Aspesi, Assimpredil Ance e Confindustria Assoimmobiliare”, spiega Vincenzo Salvi del Comitato abitare Via Padova e membro del Forum nazionale dell’abitare tra i cui promotori c’è anche il CNCA.

L’Istat ci dice infatti che Milano è la città metropolitana con il più alto numero di abitazioni recenti dopo il 2016. Ma la produzione di edilizia sociale e la tassazione sulla rendita fondiaria sono state bassissime.
“Le politiche pubbliche per la casa vanno riattivate a livello statale -continua Salvi-. Il 30% di chi non è proprietario di casa, a Milano così come a Bologna, a Firenze, a Torino o a Roma, è tagliato fuori”.

Senza la casa anche i progetti sociali rischiano di andare a sbattere. I prezzi fuori controllo e il predominio della rendita costringono ad esempio gli operatori del Terzo settore e inserire famiglie accompagnate in abitazioni dallo spazio insufficiente. “Quando si creano situazioni del genere -osserva Salvi- il lavoro di integrazione è un fallimento annunciato”.
Il CNCA si è attivato in questi anni per creare una rete del Terzo settore attenta al tema della casa. Da tempo lo stiamo ripetendo: attenzione perché la casa è centrale per qualsiasi tipo di accompagnamento sociale ed educativo. “Il patrimonio pubblico dovrebbe essere tutelato, non venduto o dismesso nella pancia di qualche fondo immobiliare speculativo, perché è l’unico calmiere dei prezzi di fatto”.

dalla pagina Facebook Abitare in Via Padova

Salvi evidenzia anche un cortocircuito che riguarda la rigenerazione urbana in atto a Milano. Un processo sulla carta estremamente positivo ma che presenta delle dinamiche preoccupanti. “Spesso come realtà del Terzo settore lavoriamo per la riqualificazione di quartieri degradati, dando vita a nuove piazze o a percorsi di pedonalizzazione. A livello cittadino vengono coinvolte associazioni e cittadini per favorire la dimensione e la possibilità di vivere insieme uno spazio della città. Poi però con queste attuali ‘regole’ di mercato tutto questo comporta un aumento dei valori delle case incontrollato. Con il paradossale risultato di espellere le fasce meno abbienti dai quartieri. Anche in periferia”.

Come intervenire? Puntando su maggiori requisiti di edilizia pubblica e sociale, e su maggiori prelievi sulla rendita per poter aumentare quantità e qualità degli alloggi sociali e dei servizi pubblici connessi.