AIDS: se le Case Alloggio lombarde scompaiono?

Nel 2024 le nuove diagnosi di infezione da HIV sono state 2.379, quelle di AIDS 450. Nell’83,6% di queste ultime, la scoperta di aver contratto l’HIV è avvenuta nei sei mesi precedenti la diagnosi di AIDS: un dato preoccupante che indica un accesso al test tardivo, spesso solo dopo la comparsa dei sintomi delle varie patologie che definiscono la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita. Sono i dati che emergono dal Bollettino pubblicato pochi giorni fa, come tutti gli anni, dal Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità, con il contributo di alcuni componenti del Comitato Tecnico Sanitario del Ministero della Salute e i referenti di questo stesso Ministero.

Nella Giornata Mondiale contro l’AIDS, lunedì 1° dicembre, l’Infettivologo Giovanni Gaiera, Presidente pro-tempore del CRCA Lombardia, Area territoriale del C.I.C.A,  Coordinamento Italiano Case Alloggio per persone con HIV/ AIDS, e rappresentante del  CNCA Lombardia all’interno della Commissione Regionale AIDS della Lombardia, ricorda che “l’infezione da HIV non è scomparsa” e che “di AIDS si muore ancora”: principalmente per neoplasie, più difficilmente trattabili in persone con un sistema immunitario compromesso, o per cirrosi epatica dovuta a epatiti e/o alcool, o ormai sempre più raramente per alcune malattie infettive per cui non esiste ancora una cura efficace.

Non sono scomparse neppure le persone sopravvissute all’ultima pandemia del secolo scorso, scoppiata a metà degli anni Ottanta. Alcune di queste, quelle che portano gli esiti più invalidanti soprattutto di patologie neurologiche ed assommano nella loro storia numerose fragilità (tossicodipendenza, vita di strada senza dimora, carcere,…) sono state e continuano ad essere accolte nelle Case Alloggio, strutture residenziali di piccole dimensioni – al massimo di dieci posti ciascuna – che offrono loro assistenza extraospedaliera sociosanitaria in un ambiente che è stato pensato dalla metà degli anni ’80 e vuole continuare ad essere una “casa” .

Questi spazi preziosi e unici oggi rischiano però di scomparire. In tutta Italia ce ne sono circa 50, di cui 21 in Lombardia. La chiusura all’inizio del 2025 per motivi economici di una delle cinque Case di Milano ne evidenzia la crisi.

Le Case Alloggio lombarde sono convenzionate con la Regione secondo quanto indicato da una delibera del lontano febbraio 2005, che fissa le rette giornaliere a 135 Euro per quelle ad alta integrazione sanitaria (per persone fisicamente più compromesse) e a 105 Euro per quelle a  bassa intensità assistenziale (destinate a chi ha principalmente problemi sociali ed è rimasto senza lavoro e senza casa per via delle sue condizioni di salute o viene dai circuiti infernali della strada e del carcere). Nonostante un aumento -che Gaiera definisce “un’elemosina”- del 2,5% ottenuto nel dicembre 2023 dopo la protesta organizzata da ospiti e operatori davanti alla sede della Regione Lombardia, le rette sono rimaste sostanzialmente ferme al 2005.

Ma il costo della vita non è più quello di vent’anni fa: le spese e i salari di operatrici ed operatori sono notevolmente aumentati – denuncia il medico -. Siamo sempre più affaticati e di questo passo ne va della nostra stessa sopravvivenza. Diverse Case stanno valutando da tempo di chiudere, perché la sostenibilità in queste condizioni è giunta al limite, se non oltre”.

Il bisogno di queste strutture residenziali è in realtà ancora molto presente: lo testimoniano le continue richieste da parte delle ATS e degli ospedali, che provengono talvolta anche da fuori Regione, e le liste d’attesa più o meno lunghe che la maggior parte delle Case si trova a gestire. 

Accanto al personale sanitario, costituito principalmente da infermieri e OSS, nelle Case Alloggio operano anche educatori e psicologi, che cercano di accompagnare gli ospiti, per quanto lo permette le loro condizioni di salute, a prendere coscienza e a recuperare le possibili autonomie, in vista in alcuni casi di un loro ritorno ad una vita autonoma. In un contesto, peraltro, in cui le persone con infezione da HIV e AIDS continuano ad affrontare un forte stigma nei loro confronti.

“Buona parte dei nostri ospiti arriva da storie di tossicodipendenza, di carcere, di strada e di prostituzione. Ancora oggi ci sono dentisti che si rifiutano di mettere le mani in bocca ai nostri ospiti: conosco diversi pazienti che hanno dovuto girare vari studi per poter essere curati, se non addirittura visitati. E quando devono sostenere un esame di tipo invasivo, come una gastroscopia o una colonscopia, nella maggior parte delle strutture sanitarie continuano ad essere esaminati per ultimi”.

Anche per questo è importante proteggere questi spazi di cura, che non sono e non vogliono essere ospedali, ma “case”, luoghi familiari. Per mantenerne l’identità, il CRCA Lombardia ha rifiutato e rifiuta la proposta, avanzata in alcune riunioni dai funzionari della Regione Lombardia, di accorpare le Case Alloggio per crearne di più grandi, dai 50 ospiti in su, così da poter godere delle economie di scala. “Sarebbe come avere delle case di riposo per persone con l’HIV e l’AIDS -commenta l’Infettivologo- con scarsa capacità di rispondere ai bisogni dei singoli”. CRCA Lombardia, CICA nazionale e CNCA Lombardia chiedono alla Regione di porre fattivamente attenzione alla difficile situazione economica in cui versano le Case Alloggio e al tema non più rinviabile dell’adeguamento delle loro rette. Per garantire la continuità di un servizio consolidato ed efficace, che negli anni ha dimostrato di saper gestire la complessità, la cronicità e le riacutizzazioni della malattia, seguendo gli ospiti con HIV e AIDS in maniera efficace e  puntuale.

Sbilanciamoci per un’economia di pace

La Carovana della pace fa tappa a Milano. Partita dalla Sicilia a metà ottobre con lo scopo di chiedere politiche economiche diverse, l’iniziativa prosegue nel capoluogo lombardo con un evento su sanità, educazione, lavoro, scuola e disarmo, in vista della prossima Legge di Bilancio per il 2026.

L’appuntamento “Per un’economia di pace” è mercoledì 26 novembre, alle 20:30, nella ex chiesetta del parco Trotter in via Angelo Mosso 7. L’evento è co-organizzato da Sbilanciamoci!, Rete Italiana Pace e Disarmo, Altreconomia e Cnca Lombardia.

La Legge di Bilancio dello Stato per il 2026 è alle porte, entro il prossimo 31 dicembre verrà approvata. Gli accordi per il nuovo Patto di Stabilità e gli impegni presi dal governo in sede Nato e nell’ambito dell’Unione Europea fanno intravedere per il nostro Paese un aumento vertiginoso della spesa militare e dei fondi per le armi, a scapito di stanziamenti per sanità, istruzione, ambiente, lavoro e cooperazione internazionale. 

Per dire “no” e chiedere un orientamento diverso della spesa, Cnca Lombardia e Altreconomia supportano la campagna “Carovana per un’economia di pace”, promossa da Rete Italiana Pace e Disarmo e Sbilanciamoci! con un evento a Milano, mercoledì 26 novembre, 20:30, nella ex chiesetta del Parco Trotter, in via Angelo Mosso 7.

Partita dalla Sicilia a metà ottobre, la Carovana ha portato in questo mese diverse iniziative in tanti luoghi simbolo della sofferenza sociale: ospedali, fabbriche, centri anti violenza, università, carceri, residenze per anziani, mercati rionali, per chiedere politiche economiche alternative che difendano realmente -e non con le armi- i nostri diritti. 

Non è un caso che l’appuntamento di Milano sarà in una scuola simbolo del problema abitativo del capoluogo: quella del parco Trotter, i cui banchi sono un osservatorio speciale per vedere come sempre più studenti siano costretti a lasciare l’anno scolastico a causa degli sfratti a cui le loro famiglie sono sottoposte.

Partendo da questo tema Giovanna Laguaragnella, insegnante della scuola primaria del Trotter porterà la sua esperienza, in dialogo con il medico Vittorio Agnoletto, che rifletterà sui tagli sanitari; Giorgia Sanguinetti, segretaria confederale CGIL Milano ed esperta del tema lavoro; Paolo Dell’Oca, Cnca Lombardia, attento alla tematica delle madri detenute con figli, e Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, il cui intervento si focalizzerà sul tema del disarmo.

Dopo questa tappa la Carovana continuerà il suo viaggio fino al 4 dicembre, con la presentazione in Senato della Controfinanziaria. Ti aspettiamo mercoledì 26 novembre, ore 20:30, in via Angelo Mosso 7.

Case rifugio e centri antiviolenza: un servizio esclusivo?

Per il Cnca Lombardia e le sue  46 organizzazioni offrire una varietà di servizi, in aggiunta a quelli di accompagnamento a donne che hanno subito violenza, è un arricchimento. Oltre all’aiuto specializzato, l’esperienza delle cooperative sociali e delle altre organizzazioni in diversi settori, come quelli delle dipendenze, dei minori, delle persone senza fissa dimora e della migrazione, permette alle operatrici di dare alle donne che si rivolgono a loro un aiuto completo. 

Tuttavia, come ricorda Eleonora Del Fabbro, coordinatrice del gruppo antiviolenza del Cnca, molte delle organizzazioni che fanno cooperazione sociale implementano anche altre tipologie di attività. Un vincolo del genere rischia di generare un effetto opposto e, anziché garantire servizi di qualità, ridurre drasticamente i posti di accoglienza.

La Convenzione è al momento in uno stato di stand-by proprio perché, dopo essere stata approvata e dopo una fase di primo adeguamento, le Regioni stesse si sono accorte che alcuni requisiti sono problematici e potrebbero generare una diminuzione dei servizi. “Il rischio di chiusura però -avverte Del Fabbro- resta altissimo”.

Tra i criteri imposti dalla nuova convenzione ci sono anche quelli di avere un’esperienza almeno quinquennale nel settore, essere dotati di spazi adeguati e avere un personale costituito da sole donne, in continua formazione: requisiti condivisibili e sensati per garantire degli standard minimi per Cav e case rifugio.

L’obiezione sollevata dal Cnca Lombardia è che il criterio di esclusività del servizio non valuti davvero la qualità degli interventi offerti. “In che modo la gestione del bilancio può misurare l’efficacia del lavoro? Perché dovrebbe essere un disvalore il fatto che, con un numero adeguato di personale, un’organizzazione offra altri servizi che possono beneficiare le stesse donne che hanno sperimentato violenza? -si chiede Del Fabbro- Io la vedo solo come una risorsa che non inquina l’operato ma al contrario nobilita il servizio che offriamo”.

Dalle 88 case rifugio e dai 66 centri antiviolenza gestiti dalle organizzazioni del Cnca a livello nazionale, appare chiaro che il maltrattamento è quello che porta le donne a chiedere aiuto ma durante la permanenza nei rifugi emergono molto spesso altre fragilità nelle ospiti: problemi di dipendenza, mancanza di lavoro, disturbi psichiatrici e assenza di una casa. La violenza sulle donne che vivono in strada -sia da parte di sconosciuti che dei propri partner-, per esempio, è un tema frequentissimo ma ampiamente ignorato.

“Premesso che sposiamo a pieno i valori e le scelte politiche dei movimenti femministi che hanno portato all’apertura delle prime associazioni, per noi è una risorsa avere in seno alle organizzazioni del Cnca tante tipologie di attività che possono aiutare le donne nella complessità del problema: trovare una casa, inserirsi nel mondo del lavoro, o a ricevere delle cure personalizzate. Avere diverse progettualità non toglie valore alla professionalità delle operatrici dei Cav e delle case rifugio, così come non pregiudica in alcun modo l’utilizzo della metodologia basata sul genere”.

La stessa Convenzione di Istanbul del 2011, primo trattato internazionale giuridicamente vincolante a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza, attribuisce grande importanza a politiche integrate. “Quello a cui assistiamo con sempre maggior frequenza è una compresenza di fragilità. Pensare di poter affrontare il problema da solo -conclude Del Fabbro- è una visione anacronistica e irrealistica”.

A Milano si torna a parlare di affido

Il tema dell’affido torna al centro del dibattito pubblico. Dopo un primo incontro dedicato a inquadrare le sfide attuali delle famiglie affidatarie – tenutosi il 24 ottobre all’Università Cattolica – ieri, 29 ottobre, diversi esperti si sono riuniti al Centro Culturale San Fedele di Milano per discutere della reale applicazione della legge 173/2015 sulla continuità affettiva, a dieci anni dalla sua approvazione, in una conferenza dal titolo “La forza dei legami. Affido familiare e continuità affettiva”.

Foto di Nappy

La norma è infatti nata con l’obiettivo di tutelare i minori in affido familiare, garantendo che, anche quando un affido giunge al termine, il bambino o la bambina possa mantenere un legame affettivo con la famiglia affidataria.

Dal panel, tuttavia, è emerso che questo diritto non sempre trova applicazione nella pratica. Anzi. Secondo l’associazione La Carovana, co-organizzatrice dell’evento insieme al CNCA Lombardia, su 53 famiglie intervistate il 30% dichiara di essersi vista negare la possibilità di mantenere un rapporto continuativo con il minore accolto dopo la fine del periodo di affido.

A partire da questa premessa, con sguardi e prospettive diverse – giuridica, psicologica e sociale – i relatori e le relatrici si sono interrogati sul ruolo che oggi svolge questa norma e sull’utilità che può ancora avere, ricordando che l’affido e la legge sulla continuità affettiva devono sempre essere guidati dal principio del “superiore interesse del minore” e da un approccio che, per necessità, deve essere multisettoriale.

Questa conferenza, preceduta da quella di venerdì 24 ottobre sempre promossa dal CNCA Lombardia, ha riportato al centro il tema dell’affido dopo anni in cui, a causa dei fatti di Bibbiano, il sistema è stato gravemente danneggiato e oscurato. “È un bene che si torni a parlarne: l’affido familiare è finalizzato al bene pubblico e per questo anche la sua responsabilità deve essere collettiva” ha commentato Liviana Marelli, referente nazionale dell’area Nuove generazioni e famiglie del CNCA Lombardia. Solo nel 2024 il Coordinamento affidi del Comune di Milano ha gestito 346 progetti di affido. “L’auspicio è che questo tavolo sia solo l’inizio di una lunga riflessione congiunta sul tema”.

Tra gli interlocutori erano presenti anche Paolo Agnoletto dell’associazione La Carovana, Claudio Cottatellucci, presidente dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e la Famiglia, lo psicoterapeuta Dante Ghezzi, l’avvocata e curatrice speciale Grazia Ofelia Cesaro, e le operatrici Sabrina Banfi, Silvia Chiodini e Cristina Lazzari.

Come cambiano le famiglie, come cambia l’affido

In Italia sempre meno famiglie scelgono di prendere in affido un bambino o una bambina. I motivi sono diversi ma tra questi ci sono sicuramente le trasformazioni sociali, economiche e culturali che stanno coinvolgendo i nuclei familiari. Per comprendere questi cambiamenti e il loro impatto sugli affidi, venerdì 24 e mercoledì 29 ottobre il CNCA Lombardia parteciperà a due importanti convegni sul tema dell’affidamento familiare.

Nello specifico, durante l’evento “Changing families, changing care. Le trasformazioni familiari e i cambiamenti nell’affido”, del 24 ottobre, esperti del settore italiani e internazionali discuteranno di come stanno cambiando le famiglie e quali possono essere delle strategie per supportarle durante il periodo dell’affido.

L’incontro inizierà alle 9:30 nell’aula 301 dell’Università Cattolica, largo Gemelli 1.

Il convegno del 29 ottobre, dal titolo “La forza dei legami. Affido familiare e continuità affettiva”, affronterà invece il tema degli affidi con un focus sulla legge 173/2015, a dieci anni dalla sua approvazione.

Una norma nata per garantire ai minori in affidamento la “continuità affettiva”, ovvero la possibilità di rivedere la propria famiglia affidataria anche quando il periodo di affido giunge al termine e il minore si ricongiunge con la propria famiglia di origine.

Diritto che però spesso non viene rispettato e al bambino o alla bambina è negata la possibilità di mantenere un legame continuativo con le persone con cui ha condiviso un periodo della propria vita, che spesso dura anni. Obiettivo di questo secondo evento è dunque quello di capire – da un punto di vista psicologico, giuridico e sociale – quali misure possono essere adottate per garantire la piena attuazione di questo diritto e per incoraggiare la relazione più positiva possibile tra famiglia affidataria, minore e nuovi referenti.

L’appuntamento è alle ore 8:30 presso la Sala Ricci del centro culturale San Fedele, Piazza San Fedele 4.

“In Italia sono circa 30mila i minori fuori famiglia, molti dei quali potrebbero usufruire della disponibilità dell’affido – spiega Rita Ceraolo de La Grande Casa, cooperativa che aderisce al CNCA Lombardia e che da oltre trent’anni si occupa di minorenni e famiglie in affido-. Sempre più servizi, pur facendo campagne di sensibilizzazioni territoriali, hanno difficoltà a reperire risorse di affido familiare. È un problema che riguarda anche altri Paesi europei. Con questi due convegni ci interrogheremo su come possiamo approcciare e recuperare quella disponibilità all’apertura che le famiglie, pur cambiando nella loro forma, continuano a portare con sé”.

Il progetto delle biblioteche umane a Milano: raccontare la salute mentale

Esistono delle biblioteche in cui a essere letti non sono i libri ma le persone. Le trame di saggi o romanzi lasciano spazio ai ricordi di chi ha deciso di condividere la sua storia con degli sconosciuti. 

È un esperimento sociale che si chiama “human library” -“biblioteca umana”- e verrà utilizzato sabato 11 ottobre al Teatro Franco Parenti di Milano per affrontare il tema del disagio psichico, in occasione della Giornata mondiale dedicata alla salute mentale (venerdì 10 ottobre).

Per la ricorrenza internazionale che dal 1992 sensibilizza le persone sui temi della salute mentale, la Fondazione Empatia, insieme a diverse organizzazioni partner tra cui la Cooperativa Lotta contro l’emarginazione (socia del CNCA Lombardia), ha scelto di far raccontare a 14 “libri”, ovvero persone che hanno vissuto o stanno vivendo un disagio mentale, la propria storia.

Le regole sono semplici: come in una qualsiasi biblioteca, ogni visitatore troverà all’ingresso un “bibliotecario” che gli mostrerà un catalogo di “libri-persone”, in cui con un titolo e una breve descrizione verranno presentate le storie dei 14 libri coinvolti. Il lettore potrà quindi scegliere quale “libro” ascoltare, in un colloquio individuale di circa mezz’ora, uno di fronte all’altro. 

Lo scopo è quello di promuovere l’incontro, rompendo i pregiudizi che accerchiano le persone portatrici di disagio mentale, gli operatori e le famiglie.

“Le biblioteche umane -spiega Cristina Savino, responsabile della formazione per Fondazione Empatia- ambiscono a cambiare la prospettiva della narrazione: non più riportata da tecnici, ma dal basso, da chi ha attraversato il disagio o lo sta ancora abitando”.

Per il CNCA Lombardia la forza di questo strumento sono proprio le storie raccontate: “In un’epoca in cui siamo sempre con lo sguardo basso a guardare il telefono -aggiunge Paolo Cattaneo- quest’esperienza porta a osservarsi negli occhi, a prestare attenzione, in una conversazione intima e diretta dove si conosce l’altro per poi ritornare a sé stessi arricchiti”. 

Iniziative come le biblioteche umane erano già arrivate a Milano in diversi luoghi della città, tra cui il Museo del Novecento, il Mudec, il Palazzo della Regione Lombardia e varie università. Come racconta Davide Motto, responsabile area salute mentale di Cooperativa lotta contro l’emarginazione, uno degli aspetti più interessanti delle biblioteche viventi è proprio quello di riuscire a raggiungere tantissime persone che non hanno necessariamente una correlazione con la salute mentale. “È quasi come andare a teatro, ma i racconti sono veri”.

I 14 “libri” sono inseriti in progetti cofinanziati dal Comune di Milano, come AccogliMi Plus per i più giovani e R3 insieme per Recovery per gli adulti. 

L’appuntamento è sabato 11 ottobre dalle 9:30 alle 12:30, al Teatro Franco Parenti. Per maggiori informazioni clicca qui.

SOLIDARIETÀ AI RAGAZZI ARRESTATI ALLE PROTESTE PER GAZA

“È un affronto al diritto di manifestare il proprio dissenso

Il centro sociale Lambretta ha organizzato questa mattina una conferenza stampa sull’arresto dei quattro giovani manifestanti durante la protesta a Milano, lo scorso lunedì 22 settembre. Il Cnca Lombardia, plaude l’iniziativa del Lambretta e mostra solidarietà ai ragazzi coinvolti negli arresti, due dei quali sono minorenni. “La loro detenzione è una lesione del diritto di manifestare, del diritto all’istruzione e dei diritti umani”.

Foto di l’Unità

Milano, 26 settembre 2025 – Il centro sociale Lambretta di Milano ha organizzato questa mattina una conferenza stampa, alla presenza di Zerocalcare, Ilaria Cucchi, Luca Blasi, Benedetta Scuderi dalla Global Sumud Flotilla, Giulio Francini, Pietro Cusimano e tanti altri, per commentare lo sciopero indetto dall’Usb lunedì scorso, 22 settembre, e l’arresto dei quattro giovani manifestanti durante la protesta a Milano e, nello specifico, alla stazione Centrale.

Paolo Cattaneo, presidente del Cnca Lombardia, plaude questa iniziativa del Lambretta e mostra solidarietà ai quattro ragazzi coinvolti negli arresti che hanno seguito le proteste, due dei quali sono minorenni, e a tutti i giovani scesi in piazza.

La narrazione che ha seguito la manifestazione ha parlato infatti di violenze e di devastazione, ma per il Cnca Lombardia si è trattato invece di una mobilitazione pacifica, senza precedenti, che ha dimostrato una crescente sensibilità da parte di un bacino sempre più ampio della cittadinanza su ciò che accade a Gaza e nei territori di Cisgiordania occupati, anche grazie alla mobilitazione degli attivisti a bordo delle imbarcazioni della Global Sumud Flotilla.

“Il fatto che questi quattro ragazzi siano stati arrestati e che due di questi, minorenni, ora si ritrovino ai domiciliari, senza la possibilità di andare a scuola, è una lesione del diritto di manifestare, del diritto all’istruzione e dei diritti umani -denuncia Cattaneo-. Ringraziamo tutte le persone che mettono a disposizione i loro corpi in queste occasioni pubbliche per fermare la barbarie che accade a Gaza e nei territori occupati in Palestina e quella che si verifica nel nostro Paese. Un’Italia governata da un sistema che ribadisce sempre di più che l’uso della forza è esclusivo e compete unicamente allo Stato rappresentato dalle sue forze dell’ordine, che non si sono fatte alcuno scrupolo a bloccare a manganellate i ragazzi che cercavano di entrare alla stazione Centrale per fare quello che è stato possibile fare in tutta Italia: l’occupazione simbolica di due binari. Occupazione che è stata resa possibile in tutte le città, Bologna, Roma, Napoli, ma non a Milano, come a voler mostrare una città insicura e non governata, oltre che ribadire un monopolio della forza gratuito, prerogativa solo di Stato e forze di polizia”.

Il timore è che a questi primi arresti ne possano seguire altri, sulla scia di controllo, violenza e impossibilità di manifestare il proprio dissenso, rafforzati dal decreto sicurezza, entrato in vigore a giugno 2025.

Il Cnca Lombardia rifiuta questa logica e propone e sostiene tutti i contenuti portati avanti dalla conferenza stampa di oggi al Lambretta. Ribadendo vicinanza e sostegno ai ragazzi colpiti e al popolo palestinese.

Le proposte di social housing a Milano: “E chi una casa non ce l’ha?”

Lunedì 15 settembre Palazzo Marino ha ospitato l’evento “Emergenza casa. Verso un piano europeo”, in cui stakeholder locali e figure politiche europee hanno affrontato il tema della casa, portando diverse esperienze di social housing in Italia e Europa. L’appello del CNCA Lombardia è di non dimenticare chi è rimasto senza casa e chi da anni attende invano una casa popolare. 

Si è parlato di Milano, di città italiane e di capitali europee; della relazione che deve rafforzarsi tra pubblico e privato; di risorse continue che mancano; smart working; ristrutturazioni e, velatamente, di una finanza che prende il sopravvento su economia e politica. Ma soprattutto, all’evento “Emergenza casa. Verso un piano europeo” organizzato lo scorso lunedì 15 settembre a Palazzo Marino, si è discusso il tema dell’abitare in relazione alle social housing, proposte di residenze a prezzi accessibili per intercettare alcune esigenze di chi le case le abita. Sono state menzionate strutture universitarie per gli studenti, alloggi per i lavoratori e senior housing per promuovere un invecchiamento attivo tra gli anziani. Tutto molto bello e giusto, ma per l’esperienza del CNCA Lombardia il tema dell’emergenza abitativa, in un contesto come quello di Milano, non può essere ridotto all’edilizia sociale. 

“L’housing sociale e l’accompagnamento abitativo hanno un grande valore, però non possono sostituirsi al semplice e puro bisogno di chi una casa proprio non ce l’ha. Pensare di restringere il problema ad anziani, studenti e giovani lavoratori non è realistico”, argomenta Paolo Cattaneo. “È giusto pensare alle social housing, purché queste non sottraggano tutte le risorse all’offerta pubblica”.

Per il presidente del CNCA Lombardia è inoltre difficile immaginare un vero cambiamento nella questione dell’abitare, se non si parte dall’ammettere che a Milano serve uno strappo con quel modello di città che da Expo in poi ha contribuito a creare così tanta disuguaglianza, nascondendosi dietro la retorica del Capoluogo lombardo motore del Paese e centro di attrattività economica, finanziaria e turistica. 

Durante il corso dell’evento numerosi stakeholder locali ed esponenti europei -come il vicepresidente per la coesione della Commissione Europea, Raffaele Fitto, e la presidente commissione hous Parlamento europeo, Irene Tinagli- hanno all’unisono riconosciuto il problema della casa come una questione che riguarda tutti i Paesi d’Europa e non solo l’Italia o, ancora più nel locale, Milano. 

Ma non si può ignorare che il Capoluogo lombardo ha lo stesso numero di abitanti di 15 anni fa, eppure il 60% di questi è cambiato: significa che 600 mila persone sono andate ad abitare fuori, nella maggior parte dei casi per la sua insostenibilità economica. A questo problema si aggiunge quello delle mancanza di abitazioni popolari che, come denunciato da Mattia Gatti, Segretario generale del Sindacato inquilini casa e territorio (SICET) e tra i promotori della contro-manifestazione organizzata nelle stesse ore fuori dal Comune, avrebbero i requisiti per un’abitazione popolare, ma che per via della mancanza di alloggi non riescono a ottenerne una. Basti pensare che ogni anno a Milano 17.000 famiglie presentano domanda di casa popolare, ma solo il 3% la ottiene, mentre più di 10.000 appartamenti restano vuoti perché destinati a vendite o a valorizzazioni. La priorità in questo momento dovrebbe essere dedicata a tutti quei cittadini che, da tempo, non vedono il loro diritto alla casa riconosciuto.

“Una famiglia di origine peruviana con cui abbiamo lavorato si è spostata oltre Magenta perché con l’affitto non ci stavano più dentro. Lì sono riusciti a comprare una casa con i soldi con cui a Milano avrebbero acquistato un box auto. Personalmente” aggiunge Cattaneo, “noi del CNCA Lombardia immaginiamo un modello differente di spazio urbano, che non si pieghi a rincorrere finanza, turismo, persone ricche e influencer; in cui l’abitazione non sia fonte di esclusione o un mero luogo in cui tornare a dormire e dove il discorso sulla casa non riguardi solo la costruzione di edifici, ma comprenda servizi, risorse, relazioni umane e di quartiere”. 

Sala ha aperto la conferenza sollecitando le persone presenti a non affrontare il tema dell’abitare con toni polemici e di conflitto, perché “ogni divisione rappresenta un danno”. Non si può garantire che la versione di città proposta dal sindaco sia quella condivisa da tutti i suoi concittadini, ma l’auspicio è che, al di là della mera narrazione, un modello di città diverso torni a essere una priorità dell’agenda politica del centro sinistra.

La conversione del villaggio olimpico in alloggi popolari sarebbe un bel punto di partenza

I salari da fame colpiscono duramente il mondo del sociale

Il disastro dei salari italiani (-8,7% dal 2008) fotografato da ultimo dall’Organizzazione internazionale del lavoro riguarda da vicino il mondo del sociale e dell’inclusione del nostro Paese.

“I dati diffusi dall’Ilo mostrano il vero volto delle politiche economiche dei governi degli ultimi vent’anni -osserva Paolo Cattaneo, presidente del CNCA Lombardia-: l’accanimento contro la povertà mentre si premia chi sta già meglio”.

Il CNCA Lombardia richiama l’attenzione su un aspetto centrale che tocca la vita di milioni di persone, ovvero il riconoscimento della dignità delle professioni del mondo del sociale, dalla cura all’inclusione. Una partita che riguarda sì il piano nazionale ma anche quello locale, come dimostra il caso “emblematico” di Milano.

“Il contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali è stato appena rinnovato e scadrà già a dicembre -riprende Cattaneo-. È stato riconosciuto un aumento del 13% ma ciò nonostante rimaniamo lontanissimi dagli standard europei. E questo incremento virtuale in busta paga già divorato dall’inflazione non è minimamente sufficiente per affrontare i costi proibitivi di una città come Milano”.

Pagare poco chi si occupa di servizi essenziali in contesti problematici -dalle comunità territoriali alle famiglie in difficoltà, fino all’accoglienza delle persone straniere- significa indebolire il tessuto sociale del Paese.

“Al Comune di Milano chiediamo da tempo un adeguamento contrattuale ma non è mai stata data una risposta positiva”, continua Cattaneo.

I numeri sono chiari: “Oggi nel mondo del sociale si può lavorare a tempo pieno per 38 ore settimanali e guadagnare 1.300 euro al mese. Con salari di questo tipo è naturale che in tanti optino per ridurre il tempo del lavoro per aggiungere una seconda occupazione o riappropriarsi del proprio tempo libero”. Dal suo osservatorio privilegiato il CNCA osserva picchi di ricorso al tempo parziale tra il 50 e l’85%. 

È anche così che si sfilaccia il tessuto sociale, culturale e politico in senso alto di una comunità. “I salari da fame nel sociale si accompagnano a una lunga stagione di odio e tempesta seminati contro gli ultimi, gli stranieri, coloro che vengono etichettati come i ‘devianti’. È difficilissimo per chi semina vicinanza e inclusione resistere. Si tratta di una battaglia che non possiamo condurre da soli”.

Ecco perché con la pubblicazione dei dati dell’Ilo il CNCA Lombardia torna a chiedere una risposta al Comune di Milano rispetto all’adeguamento delle remunerazioni e al Parlamento un intervento deciso a riconoscere la dignità del lavoro sociale.

📸 Serena Koi

“Sei la mia città”, la campagna sul diritto alla residenza a Milano

Sono oltre ottanta le sigle che promuovono l’appello “Sei la mia città” per l’estensione del diritto alla residenza nel capoluogo lombardo. Nell’appello si chiede al Sindaco Beppe Sala e alla Giunta del Comune di Milano una deroga all’articolo 5 della legge Renzi-Lupi, che ha condannato alla precarietà una vasta platea di abitanti. 

Tra gli aderenti alla campagna sindacati del lavoro, sindacati inquilini, comitati di quartiere, reti cittadine, cooperative, ong, organizzazioni studentesche, spazi sociali, associazioni civiche, collettivi.

A Roma, Palermo e Torino sono state già approvate deroghe all’articolo 5 della legge Renzi-Lupi. Pensiamo, come realtà sociali metropolitane, sia giunto il momento che anche l’amministrazione milanese orienti le proprie politiche ad una maggiore giustizia sociale, per una città più inclusiva, accessibile e accogliente.

“Riteniamo che sia arrivato il momento di riconoscere l’iscrizione anagrafica a tutte le persone che abitano stabilmente a Milano, a cui spetta la residenza ordinaria, come previsto dalla Costituzione Italiana. È necessario, tuttavia, mantenere, per tutte quelle persone che si trovino effettivamente “senza fissa dimora”, la residenza fittizia per garantire loro, in tempi celeri, tutti i diritti previsti dalla procedura”.

“Il diritto alla residenza concorre a definire l’identità di una persona e di una famiglia, la inserisce in un contesto sociale, relazionale, umano. Al diritto alla residenza sono collegati tutta una serie di diritti e di possibilità di accesso ai servizi che ben vengono illustrati nel secondo paragrafo dell’appello e nei successivi passaggi -aggiunge Paolo Cattaneo, presidente del CNCA Lombardia-. È un diritto che reclamiamo per i senza dimora e  per i migranti, tanto visibili quanto ‘fastidiosi’ per la nostra città, ma anche per tutte quelle famiglie che, invisibili e silenziose, sono costrette a vivere in situazioni fuori norma e così fuori norma diviene tutta la loro vita, anche quella dei loro figli e delle loro figlie. Per tutto questo e altro ancora ci siamo trovati con decine e decine di amici e compagni di strada, con cittadini, associazioni, cooperative, sindacati, gruppi spontanei e comitati. Sono le reali antenne nella città, i soggetti che più e prima di chiunque altro colgono le questioni nella loro spietatezza e, in forza dell’articolo 18 della Costituzione, si associano per cercare soluzioni e per sollecitare le istituzioni. Istituzioni a cui chiediamo di comprendere quanto sia necessario fare un passo avanti, deciso, cogliendo l’appello e l’invito a costruire insieme le necessarie risposte”.

“Sei la mia città” racconterà nelle prossime settimane il peso che hanno i diritti negati, attraverso la voce e i volti di persone reali che abitano a Milano, con un nome e un cognome, una storia, persone che possiamo incontrare tutti i giorni per strada, sui mezzi pubblici, al lavoro, a scuola. 
Attraverso questa campagna vogliamo aprire un dialogo costruttivo e proficuo con le istituzioni, per affermare con forza l’idea di una  città solidale, insieme ad un principio basilare a noi caro: l’inclusione e la coesione sociale passano necessariamente dal riconoscimento dei diritti sociali e civili e non da forme repressive o discriminatorie. 

“Sei la mia città” nasce come declinazione locale di una campagna promossa dal Social Forum dell’Abitare, la rete nazionale del diritto alla casa, e sull’impulso di ONG e associazioni del territorio che hanno coordinato e stimolato il superamento del quadro normativo sulla residenza, insieme ad Enrico Gargiulo, uno dei massimi esperti del tema, professore dell’Università degli Studi di Bologna, che ci ha coadiuvato nella stesura dell’appello, appello che alleghiamo insieme alla lista delle organizzazioni che lo sottoscrivono.

PER INFORMAZIONI

  • CNCA Lombardia • Paolo Cattaneo • 340 4530739
  • ARCI LATO B • Davide Vismara • 331 1038985
  • CASA DELLA CARITÀ • Valentina Rigoldi • 344 0674986
  • CHIEDIAMO CASA • Angelo Junior Avelli • 345 3141883
  • EMERGENCY ONG ONLUS • Alessandra Vardaro • 338 7236793