Perché la festa della Liberazione ci riguarda

Nati nel 1986, abbiamo recentemente rivisto il nostro Statuto. In questa revisione abbiamo anche cambiato nome: da Coordinamento Nazionale di Comunità di Accoglienza a Coordinamento Nazionale di Comunità Accoglienti. Può sembrare un vezzo linguistico ad uno sguardo distratto, ma è una differenza sostanziale sul piano dei contenuti che vuole veicolare. Da sempre luogo di aggregazione di realtà che operano nell’ambito delle politiche sociali, centro di elaborazione e diffusione di una cultura dell’accoglienza, il CNCA oggi vuole sottolineare in particolare il proprio ruolo di soggetto politico attivo nella costruzione di comunità capaci di occuparsi di tutte le sue componenti, prendendosene adeguata cura. Non solo di lavorare nelle comunità, ma esserne parte, condividerne le istanze. Non solo dare voce a coloro che definiamo gli ultimi, ma costruire dispositivi in cui il diritto di cittadinanza sia per tutte le componenti sociali, nella nostra tradizione di lavoro con le persone, i bambini, i ragazzi, il mondo delle dipendenze, le famiglie, tutte le famiglie,… Le etnie tutte, le parti di comunità più sofferenza, meno riconosciute. Non vorremmo qui parlare di inclusione o integrazione, termini che sottintendono la presenza di qualcuno che deve includere e qualcuno che può godere della cortesia di essere incluso. Anche perché anche noi facciamo parte di questo mondo, anche noi dobbiamo lottare per il nostro riconoscimento oggi. Il CNCA è portatore di una visione del mondo fatta di parità di diritti e lotta alle iniquità, è fatto di organizzazioni e persone che hanno come primario strumento di lavoro la relazione umana, che studiano e si confrontano per incrementare costantemente la propria capacità di misurarsi con le continue sfide che la storia ci propone, che vivono la passione per la varietà e la complessità dell’umanità.

Ecco perché la Festa della Liberazione ci riguarda oggi.

Il 25 aprile negli ultimi anni rischia di essere derubricato ad una ricorrenza per vecchi nostalgici lontani dall’attualità. Invece nulla è più attuale, in particolare negli ultimi mesi.

Paolo Cattaneo, Presidente CNCA Lombardia

Allora vale la pena di farsi una domanda: da cosa dobbiamo liberarci oggi? Innanzitutto dovremmo liberarci da questa trappola dell’identità e in particolare dell’identità nazionale. Di quale identità parliamo? La popolazione che oggi abita il territorio italiano è composta da discendenti degli Assiri, dei Fenici, dei Greci, dei Celti,… E non siamo certo noi a dirlo, basta interpellare studi di autorevoli storici, antropologi, biologi ed etnografi come Cavalli Sforza, Marco Aime, il buon Fernard Braudel,… Lettura peraltro godibilissima e vivamente consigliata.

Quando parliamo de “le nostre tradizioni”, noi in realtà facciamo riferimento alle nostre nonne, alle loro ricette… Insomma non andiamo più in là di 50/70 anni or sono; non ci riferiamo a 500 o a 1000 anni fa, periodo in cui in Europa molti ortaggi e pietanze utilizzate oggi neppure esistevano. Però il mantra dell’identità nazionale e della protezione della nostra cultura ha un’enorme presa. E dove va a finire la difesa delle tradizioni quando c’è da vendere ai grandi capitali cinesi, agli inglesi, agli americani, come sta succedendo massivamente nella città di Milano e progressivamente nell’hinterland e nelle altre città del nord Italia? È il fenomeno di gentrificazione a cui stiamo assistendo e sul quale stiamo lavorando, che sta privando fasce di popolazione sempre più ampie della possibilità di un’abitazione dignitosa nel proprio territorio. Persone che lavorano, che spesso sono nate qui, che sono quindi anche italiane secondo le categorie di definizione meno illuminate. Ma diciamocelo: se di un popolo facciamo parte, se in una parte di mondo vogliamo riconoscerci, è quella con cui da millenni abbiamo scambi commerciali, culturali, talvolta conflittuali, ma sempre di grande meticciamento. Se a un popolo apparteniamo, allora questo è il popolo del Mediterraneo.

Un’altra gabbia dalla quale dobbiamo liberarci: le categorie. I migranti non sono migranti, sono persone. Invece la spinta culturale del momento porta addirittura alle sottocategorie: migranti economici, migranti ambientali… E, va detto chiaramente, è questa la cultura divisiva. E con la stessa categoria di pensiero si può passare ai disoccupati, ai disabili, ai gay, ai tossicodipendenti, ai poveri,…

Un altro recente mantra cerca di definire la Resistenza come un movimento omogeneo mosso da patriottismo. In realtà la grande varietà di Gap, Sap, brigate… Erano tutt’altro che di composizione omogenea: c’erano comunisti, anarchici, cattolici, monarchici… Piuttosto nei movimenti della Resistenza era forte l’internazionalismo, l’idea che alcuni valori fondanti della società civile travalichino i confini nazionali. Il 25 aprile bandiera nazionale? No, il 25 aprile è parità, è giustizia.

Ecco perché anche come CNCA ci riguarda in prima persona. E i problemi di oggi ci riguardano tutti. E dove ci troviamo oggi? Viviamo un momento storico che è una sorta di fascismo mondiale in cui ci siamo normalizzati, in cui in tutte le parti del pianeta ormai prevale l’interesse e la speculazione del singolo a scapito di intere masse di collettività, in cui lo sfruttamento delle risorse, il consumo di suolo, l’abuso della terra sono prassi scontata, in cui le deroghe ai diritti universali e inalienabili sono all’ordine del giorno nel silenzio generale. Sono stati progressivamente annientati quei soggetti che potevano, potrebbero e dovrebbero avere un ruolo politico di prima linea nel contrasto a questa direzione. I partiti politici, i sindacati, i mezzi d’informazione…

E questa sorta di bon ton istituzionale a cui abbiamo cercato di educarci ci ha incapacitato a qualunque azione incisiva in controtendenza a questa realtà che abbiamo tutti gli strumenti per analizzare e comprendere nel profondo. Per tornare alla realtà a noi più vicina, i provvedimenti di legge nazionali di questi ultimi mesi parlano chiaro: decreto Cutro, abolizione del reddito di cittadinanza, inasprimento delle sanzioni in materia di “sicurezza”,… Per non parlare della demolizione del sistema sanitario nazionale in atto da qualche decennio.

Come CNCA abbiamo già dichiarato puntualmente la nostra posizione nel merito di ognuno di essi. Sappiamo di essere titolati a farlo e di avere la capacità di sostanziare il nostro punto di vista. Fatichiamo però sempre più a trovare compagni di strada con i quali condividere la responsabilità e il carico, e contesti disposti ad ascoltarci. In questo quadro complessivo è molto difficile essere incisivi. Non vogliamo arrogarci il diritto e la supponenza di autodefinirci l’unico soggetto sociale che esprime questa cultura e questa volontà; talvolta incontriamo validi partner e realtà culturalmente molto fertili, e a fronte di soggetti non più in grado di svolgere la propria funzione sociale tanti piccoli e vitali germogli possono far bene sperare. Ma la corsa allo smantellamento di ogni tutela che possa ancora definirci cittadini di una Repubblica sembra inarrestabile e senza ostacoli.

È qui che si ritrova il senso della nostra Resistenza. Se vogliamo fare noi, per un attimo, l’esercizio di definire la nostra identità, a partire dai nostri valori fondanti e dal lavoro che facciamo da anni, la direzione del nostro agire sgorga con cristallina naturalezza: perché se non si alza in piedi il CNCA oggi, chi altro lo deve fare?

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