Tunisicità nella bergamasca

Come operatrice di territorio del progetto SAI per l’inclusione dei Minori Stranieri Non Accompagnati ho la fortuna di cercare e vivere con i ragazzi delle esperienze formative e ricreative sul territorio di Bergamo per trovare insieme a loro possibilità concrete di integrazione e realizzazione dei loro percorsi di crescita ed educativi.

Una fortuna immensa perché nei momenti di svago, gioco, conoscenza di contesti nuovi e messe alla prova da parte dei ragazzi posso assistere ai quei difficili processi di incontro tra persone con background culturali diversi, storie ed età diverse, aspettative e sogni diversi: il momento dell’incontro è criptico, ci si studia, si cerca di capire dove posizionarsi rispetto all’altro e noto che i ragazzi stranieri cercano di capire anche cosa si pensa di loro, quale idea o giudizio ci si fa basandosi sull’apparenza.

Io personalmente trovo affascinante questo studiarsi per capirsi e poi con pazienza forse anche accettarsi e includere (quando l’incontro ha successo!): in quei momenti di incontro capisco quanto sia importante avere il coraggio di mettersi in relazione, a prescindere dalla provenienza, dalla religione, dalla cultura e dal colore della pelle.

Ritrovo la bellezza negli incontri tra il tutore e il minore, due soggetti che imparano a conoscersi e relazionarsi, arrivando a volte a supportarsi a vicenda; la relazione tra il ragazzo e il suo educatore di riferimento è un rapporto generatore di emozioni forti per entrambi, positive o negative che siano, ma sicuramente sincere e con l’obiettivo del sostegno e della cura.

L’incontro tra un ragazzo tunisino e l’anziano bergamasco alla festa di quartiere è un altro esempio di incontro che trovo bellissimo, tramite sguardi scrutanti e poche parole ho assistito a uno scambio spontaneo, basato su un interesse reciproco vero, un momento che mi fa dire che la cura è anche questo: interesse per l’altro, un attimo in cui ci si sente ascoltati, non per forza capiti, quell’attimo sfuggente in cui qualcuno mi vede, non perché sono diverso ma perché sono li di fronte a lui, un allegro e sorridente A. in tutta la sua “tunisicità”.

Più che un lavoro di cura il mio è un percorso da costruire insieme, vedo la bellezza nella reciprocità del rapporto che cerco di costruire con ognuno di loro, i momenti in cui B. riesce a trasmettermi tutta la sua forza e resilienza, le confessioni intime del sensibile K., le risate a crepapelle che mi fa fare O., gli ammonimenti di S. quando non mantengo la posizione formale di operatrice; sono tutti questi momenti che rendono il mio lavoro bellissimo e soddisfacente, nonostante la fatica di tutti i giorni nell’affrontare i problemi legati all’immigrazione nel nostro paese (documenti, possibilità abitative, lavorative,…) sapere che si creano legami, anche brevi, di supporto e cura reciproca mi fa sentire bene e mi fa vedere la bellezza di lavorare nel settore in cui ci si prende cura gli uni degli altri.

Chiara Barcella, educatrice della cooperativa sociale AEPER

Ad AEPER rendiamo concreta la solidarietà realizzando attività educative, sociali, sanitarie, culturali e d’inserimento lavorativo orientate ai bisogni delle persone, alla prevenzione del disagio, all’accoglienza e al reinserimento sociale. Obiettivo è l’inclusione di chi è in situazione di svantaggio nella vita di tutti i giorni, coltivando una cultura capace di valorizzare la persona anche nelle sue fragilità. Promuoviamo l’accoglienza, lo sviluppo, l’autonomia personale, l’integrazione sociale e il benessere nella comunità locale, con particolare attenzione a tutti coloro che vivono la fragilità e il disagio.

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